1 dicembre 2014

La tradizione del matto-savio: poeti, lirici e trovatori




Mark Hedsel non ha fatto misteri sulla via da lui seguita, che era la Via del Matto: una via in parte estrinsecata nei disegni arcani dei ventidue atout dei tarocchi tradizionali, quelli di cui si serve la divinazione popolare. La via a cui Mark era stato iniziato conduce a una conoscenza talmente diversa da quella comune che quanti la perseguono rischiano continuamente di venire fraintesi. Basta un lapsus o un gesto inappropriato per passare davvero per matti.

La Via del Matto, come si vedrà chiaramente da quello che segue, ha un legame molto stretto con lo sviluppo interiore dell’ego. Alimentare l’ego è un’impresa pericolosa: fra i seguaci di questa via sono pochi quelli che di tanto in tanto non incespicano e cadono.

«Mark, tu hai detto che questo sviluppo della coscienza dell’ego era molto evidente fra gli artisti. L’ego ha forse emesso i suoi primi vagiti nella Firenze del XV secolo?»

Mark sorrise, come se si aspettasse la mia domanda.

«Diversi secoli prima, David. Vedi, poeti e musicisti percepiscono l’evoluzione e i cambiamenti spirituali della psiche umana con molto anticipo rispetto agli altri. I pittori e gli scultori, nonostante la loro tanta decantata capacità di visione, sono più terreni dei poeti e dei musicisti: i poeti hanno antenne speciali per queste cose. In un certo senso sono i “raccoglitori del vento”. Quando nell’aria c’è un cambiamento spirituale, i primi a fiutarlo sono in genere i poeti, che l’esprimono in liriche e canzoni. I poeti sono sognatori sensitivi. Tutti gli artisti – poeti, pittori, musicisti – sognano le loro immagini prima di inserirle nelle loro opere, ma il poeta sogna più profondamente.

«Dunque, i veri visionari sono i poeti. Sono loro a percepire gli sviluppi spirituali: nella letteratura europea i primi timidi segni del matto-savio compaiono fra i chierici-poeti erranti del Medioevo, fra i trovatori e i lirici della Francia meridionale, dove a quel tempo era tutto un fiorire di eresie.»

«La Via del Matto risale quindi all’XI secolo?»

«Sì, può darsi, non sono un esperto della questione; ma a me pare che il Monaco d’Orlac sia stato il primo, agli inizi del XII secolo, ad affrontare con vera convinzione l’idea del matto-savio. I suoi versi hanno il sapore della follia, che può facilmente essere scambiata per pazzia da quanti non sanno, da quanti non conoscono la visione esoterica.

«Questo significa due cose: o le composizioni del Monaco d’Orlac erano ispirate a una religiosità troppo profonda per la gente comune, oppure erano scritte nella Lingua Verde, ossia nel linguaggio in codice degli esoteristi e degli alchimisti. In una sua poesia, dedicata a un amico poeta, il Monaco scrive: “In tutta la sua vita ha cantato soltanto poche folli parole da nessuno intese”. Quel poeta era Arnaut Daniel, il quale cantò splendidamente di aver cacciato la lepre con il bue, e nuotato contro corrente...

«Tutto questo, naturalmente, se preso alla lettera, non ha molto senso. Il fatto è però che il Monaco d’Orlac e Arnaut Daniel erano fratelli sulla Via: il primo sapeva benissimo che cosa volesse dire Arnaut quando affermava di saper nuotare contro corrente e cacciare con il bue.

«Quello che affascina è che nella sua opera il Monaco, come tanti altri poeti del tempo, insiste a dire che nessuno può capire davvero quello che lui e i suoi “confratelli” scrivono.

«Sappiamo benissimo che i poeti spesso si lamentano di essere incompresi, ma nel caso del Monaco d’Orlac e dei suoi compagni la questione è diversa. A un poeta qualsiasi, che si rammarichi di non essere capito, si può rispondere semplicemente: “Scrivi in modo più chiaro!”. Ma una risposta del genere sarebbe ingiusta nei confronti di questi poeti provenzali, perché essi si sforzavano di comporre versi da una prospettiva completamente nuova. Nessuno li capiva perché essi avevano sviluppato organi spirituali con cui vedevano molto più in là del campo visivo dei loro contemporanei.»

Si schiarì la voce. «Uno di loro scrisse, cito a memoria: “E quando, nella città terrena, che è piena di pazzi, Dio risparmiò un uomo, fu considerato pazzo. Lo maltrattarono perché la sua saggezza non era la loro, perché per loro lo spirito di Dio è follia...”

«Sono parole che possono sembrare prive di senso, e invece per l’ermetista esperto sono il segno che chi le pronuncia è già sulla strada che conduce allo sviluppo di un ego forte, ha già compiuto i primi incerti passi verso la Via del Matto.

«La tradizione del matto-savio – o del matto iniziato – è una corrente che attraversa tutta la letteratura medievale francese e culmina nel più grande “buffone” di tutti i tempi, in quel giullare del XVI secolo che fu François Rabelais. Con la sua straordinaria arguzia e comicità, Rabelais apparteneva di fatto alla tradizione trovadorica e sapeva che pochi dei suoi lettori l’avrebbero seguito nelle sue piroette intorno ai livelli più profondi di significato. Rabelais non nascose che il vero argomento dei suoi libri era l’iniziazione, ma ne celò i misteri e gli insegnamenti avvolgendoli nello splendore della Lingua Verde: dietro la sua giocosità ciarliera egli mantenne il silenzio. Il genio dell’autore francese è tale che vale la pena leggere la sua opera comunque, anche quando non se ne colgono i livelli più profondi. Il suo è un vero matteggiare poetico. Non è un caso che sul frontespizio della prima edizione del suo giullaresco racconto iniziatico, pubblicato nel 1532, Rabelais abbia posto una xilografia del Matto.

«Guardando questa interessante immagine è inevitabile pensare a una versione più sofisticata dello stesso tema, alle diverse versioni del Matto dipinte da Hieronymus Bosch. Il Matto di Bosch indossa, com’era prevedibile, vesti cristiane: la sua figura compare per esempio nel contesto del Figliuol prodigo, ma chiunque abbia familiarità con lo spirito di inizio XVI secolo riconosce in essa la raffigurazione di un essere umano in travaglio, che cerca di rispondere alla nuova sfida dell’evoluzione dell’ego. Non per niente questo dipinto in passato è stato chiamato «Il Matto», e la follia è un tema che Bosch sviluppa in molte altre tele. Le ragioni di tutto questo si chiariranno a mano a mano che procederemo: qui volevo soltanto dimostrare che le immagini della poesia, fatte di parole, furono infine fissate in figure e simboli dalla pittura.

«La follia-saggezza di cui tanto si dilettavano Rabelais e Bosch era in realtà cominciata come la vera arte dei trovatori.»

Desideravo tornare un attimo indietro, e perciò chiesi a Mark: «C’è una ragione, parlo in termini cosmologici, per cui il poeta è dotato di una particolare sensibilità?».

«Sì. Il poeta usa le parole. La mia potrebbe sembrare un’ovvietà, ma la verità è che nelle parole ci sono i misteri. Non è affatto un caso se al più grande mistero di tutti, il Logos, viene attribuito anche il senso di “Parola-Verbo”. Quando il poeta usa parole e forme nuove nessuno lo comprende, e questo i trovatori lo sapevano. Prima che una società sia in grado di recepire un’idea nuova, bisogna che si crei un nuovo lessico, le parole vecchie possono parlare soltanto di cose vecchie: sono come binari arrugginiti che corrono sempre nella stessa direzione. Le cose nuove, le direzioni nuove, richiedono parole nuove. Per un poeta vero è molto difficile parlare ai suoi contemporanei, perché il linguaggio che egli usa e forgia verrà compreso interamente soltanto dalle generazioni future...»

Mark Hedsel, L'iniziato

La morte di un iniziato




Mark Hedsel morì nel 1997, prima che il nostro lavoro fosse completato.

I libri occulti spesso ammantano di un alone di mistero la morte di iniziati e maestri: ne sono testimonianza le leggende fiorite intorno al conte di Saint-Germain, che, si dice, sarebbe vissuto per 130 anni cambiando pochissimo nell’aspetto.

La morte di un iniziato non è poi così diversa da quella di una persona comune. Il vero iniziato, che non ha bisogno di trascorrere anni di purificazione sul piano spirituale, può tornare piuttosto in fretta nel mondo materiale, dentro un nuovo corpo. È in questo forse che consiste la presunta longevità degli iniziati, per non parlare dei patriarchi biblici come Noè. Mentre è poco probabile che il conte di Saint-Germain si sia visto in giro per l’Europa per un periodo ininterrotto di oltre un secolo, è invece più credibile che durante questo lasso di tempo egli si sia reincarnato almeno due volte e gli sia stato concesso di ricordare per intero le sue vite passate.

Alcuni processi alchemici possono arrestare in parte la degenerazione del corpo fisico: gli alchimisti medievali vivevano in media più del doppio dei loro contemporanei. Ma una domanda si impone: perché mai un iniziato dovrebbe voler arrestare la decadenza fisica o voler vivere molto più a lungo del normale, a meno che, naturalmente, non abbia un compito particolare da svolgere? Studiando le scienze arcane ci si accorge abbastanza presto che il mondo inferiore è un riflesso di quello superiore e che la struttura umana ha ricevuto in dono ritmi, cicli e periodi climaterici che trovano un parallelo nel cosmo, e persino nel moto dei pianeti e delle stelle. Un iniziato che decida di prolungare la sua vita fisica potrebbe essere pronto a forzare questi ritmi cosmici.

Ma non sempre la longevità è una benedizione. Considerata la rapidità con cui il fisico degenera da un certo periodo in poi, crediamo non siano molti a desiderare di avere una vita molto più lunga del normale.

Se faccio queste considerazioni è soltanto perché voglio sia chiaro che Mark Hedsel è morto davvero, o meglio, se ne è andato dal piano fisico dell’esperienza che ci è familiare. Sono stato con lui fino all’ultimo, ho dato disposizioni per la sua cremazione e ne ho disperso io stesso le ceneri. Se qualcuno cerca la tomba, o il luogo di riposo di quella polvere inerte che gli alchimisti chiamavano caput mortuum, non ha che da guardarsi intorno davanti all’ingresso del monastero che ha nome Sacra di San Michele e si trova nei pressi di Susa, in Piemonte.

Scalone dei morti, così si chiama quella ripida erta, non soltanto perché è buia e perché ai suoi piedi c’è un cimitero, ma perché quanti salgono verso l’arco zodiacale che la corona sono considerati i morti che dormono. Soltanto dopo che saranno passati sotto l’arco istoriato con le costellazioni e saranno arrivati alla terrazza pervasa di luce, avranno messo piede nel mondo dei vivi. Naturalmente è una transizione del tutto simbolica, ma emblematica di un evento che, dopo seimila anni, è ancora avvolto nel mistero. È il simbolo dell’iniziazione.

Sarebbe difficile immaginare una sepoltura più idonea per Mark Hedsel. Benché non sia stato lui a porre materialmente quell’arco così carico di simboli in cima alla scalinata, è stato lui, in una sua vita precedente, a sceglierne gli arcani disegni zodiacali. In una sua reincarnazione nel XII secolo Mark diresse le opere scultoree dell’arco. Disseminare le sue ceneri su quella gradinata è stato qualcosa di più che disperdere simbolicamente i resti di una singola vita: è stato il riconoscimento che un intero ciclo di ricerca impegnata si era chiuso. Sono convinto che Mark Hedsel appartenesse molto di più al XII secolo che non all’era moderna, e mi è sembrato giusto, con questa semplice cerimonia di spargimento delle ceneri, commemorare la dedizione di almeno due vite spese, ciascuna a suo modo, nello studio e nella diffusione della sapienza arcana.

Mark Hedsel, L'iniziato

Le regole del travestimento




«Aveva ragione Michael» osservai quando mi incontrai con Mark per parlare del suo libro. Era l’ultimo lunedì di agosto del 1991.

«In che cosa aveva ragione?»

«Sono diventato uno scrittore.»

«Vuoi dire uno scriba» mi corresse con garbo. Era proprio vero: ero diventato uno scriba, uno che lavorava con i geroglifici più che con le parole. Forse era per questo che da ragazzo avevo deciso di darmi alla pittura, prima di iscrivermi alla facoltà di Lettere. Una figura è più vicina all’idea di quanto non lo sia una parola, che si limita semplicemente a evocare le immagini: la parola scritta è per definizione una fonte secondaria. Un volto può far salpare mille navi; ma la descrizione di un volto ben difficilmente ne spingerà una sola a prendere il largo.

«Ecco, adesso io sarò la figura» disse Mark «e tu mi aiuterai a tradurmi in parole.»

«Non capisco. Quale figura?» Erano passati tanti anni, ma le sue frasi così ben articolate erano ancora enigmatiche per me. «Quale figura?» ripetei.

«Io sarò la figura del Matto nel mazzo dei tarocchi.»

Probabilmente lo fissai stranito, perché tutto si poteva dire di Mark, tranne che fosse matto e, a quanto ne sapevo, non lo era mai stato. Lo osservai con attenzione. Era cambiato, tutti e due eravamo cambiati in quei quarant’anni. Non portava più né la sciarpa al collo né il basco. Adesso indossava un elegante completo e una costosa cravatta di seta, tuttavia non sembrava granché invecchiato. Se era matto, sapeva nasconderlo bene. Mentre lo studiavo, mi passò davanti agli occhi, come un fantasma che tornava a ossessionarmi, l’antica immagine di quell’iniziato francese senza età che era il conte di Saint-Germain.

«La figura del Matto?» ripetei. «Che cosa intendi dire?»

Rise. «Lo scoprirai lavorando con me al libro. Tu sarai il mio pittore.» Sorseggiò il caffè. «Conosci la figura del Matto delle carte marsigliesi?»

Annuii. L’antico disegno raffigurava un Matto, che con il bastone in mano cammina lungo una strada.

Si batté la fronte con una mano. «È tutto qui, rinchiuso qui dentro. Ti darò la chiave.»

«Una specie di autobiografia?» Era quello che speravo: lavorando a un progetto del genere avrei imparato molte cose. Che occasione straordinaria mi offriva Mark.

«In un certo senso. Vedremo che cosa ne uscirà. Alcuni di quelli con cui ho lavorato sono ancora vivi. Dovrò cambiare i nomi delle persone e dei luoghi.»

«Diventeremo maestri del travestimento.»

«Perfetto. Le grandi verità si presentano sempre sotto mentite spoglie. Dopo tutto il mondo materiale è a dir tanto una maschera di quello spirituale. Credo sia questa la ragione per cui Michael Juste teneva in negozio il proprio busto.»

«Come travestimento?»

«Come estrinsecazione della sua maschera. È meglio che la maschera stia fuori. Se si insinua all’interno, può diventare pericolosa.»

Sapevo a cosa alludeva. Non si dovrebbe mai credere all’esteriorità bugiarda. La maschera era in un certo senso una menzogna.

«C’è un punto in cui l’immaginazione non solo dissimula la realtà, ma la fa apparire più vera.»

Scosse la testa, ridendo. «Nel mondo da cui provengo, questa la chiamano arte. Sei mai stato a Najera, La Rioja?» domandò.

«Al monastero di Santa-Maria-la-Real?»

«Sì. Su uno degli scanni è intagliata la figura di un Matto. Risale al XV secolo.»

Me ne ricordavo. «Suona il flauto, vero?»

«Sì. Come il Matto dei tarocchi ha ai suoi piedi un cane. Anzi, due, ma solo uno abbaia. La cosa interessante, però, è il suo abbigliamento.»

«Porta il cappello da buffone, se non sbaglio.»

«Sì. Ma è la veste che è curiosa: è aperta davanti e dietro; così le sue parti intime sono sempre esposte. Si tratta del Matto nudo. È un’immagine che viene da lontano. La nudità è il segno che il vero Matto è disposto a mostrare quello che gli altri preferiscono tenere nascosto. Il matto che indica la via verso la visione superiore, che si raggiunge con l’iniziazione, è spesso considerato pazzo da quelli che dormono. Sono assopiti tutti coloro che non intendono seguire un percorso spirituale, che, accontentandosi del regno delle apparenze, vogliono soltanto essere lasciati in pace, da soli, appunto a dormire. Queste immagini medievali del Matto sono molto istruttive. La Festa dei pazzi era una ricorrenza estremamente importante, perché in essa confluivano correnti esoteriche sotterranee. Naturalmente ne saprai di più se scriveremo insieme il libro.»

«Un libro su Mark Hedsel nudo?»

Rise. «Nudo solo in parte, ossia un matto trasformato dall’immaginazione.» E sottolineò il richiamo all’immagine contenuto nell’ultima parola.

Seguì un breve silenzio.

«Immagini» mormorò pensoso. «Sai che alcuni degli artisti egizi che incidevano i geroglifici sulle mura dei templi non sapevano leggerli?»

«Veramente?»

«I sacerdoti chiamavano lo scalpello mer, il cui suono era identico a quello della parola che indicava la “morte”. Non è un mistero? Esprime la consapevolezza che affinché qualcosa possa manifestarsi come immagine – come raffigurazione di un’idea – qualcos’altro deve morire.»

Alzò le spalle con aria indifferente, ma io avevo capito che si stava avvicinando al cuore del metodo arcano – al concetto di scissione – che è il processo fondamentale dell’iniziazione e ha un ruolo essenziale nella Via del Matto.

«Forse» continuò «gli scalpellini egizi che usavano il loro mer ne ignoravano completamente il significato profondo. Il loro compito era rispettare i canoni dell’arte: conoscevano le regole del travestimento, ma non sapevano che cosa travestivano. Non avevano la minima idea di quali archetipi – dai loro sacerdoti chiamati neter – essi evocassero. Con ogni glifo che incidevano nella pietra, calavano dentro la forma materiale gli agenti spirituali: operavano magie senza saperlo.» Mi guardò fisso. «Ammetterai che questa è un’attività che soltanto i matti possono svolgere.»

«Non solo loro» replicai. «Non è forse vero che tutti noi evochiamo archetipi – idee primigenie – che non comprendiamo appieno?»

«Certo. È esattamente a questo che mi riferivo. La vita di ognuno di noi rivela quali archetipi abbiamo seguito. Ecco perché il Matto è disposto ad attraversare la vita nudo di fronte al mondo: perché sa che ciò che sta in basso altro non è se non il riflesso di ciò che sta in alto.»

Mark Hedsel, L'iniziato

L'inizio di tutto




Sedevo con Mark al Roma, il caffè italiano vicino alla libreria Atlantis, frequentato spesso dai lettori della biblioteca del British Museum. Morivo dalla voglia di rivolgere a Mark una domanda circa il sangue sulla Luna, ma non riuscii a trovare il coraggio. Restai perciò per mesi con la convinzione che Mark e Michael mi avessero letto nel pensiero.

Parlammo di esoterismo. Discutemmo in particolare delle tendenze più interessanti delle scuole arcane contemporanee e della letteratura iniziatica che cominciava allora ad affiorare alla superficie. Ricordo che Mark accennò all’enigmatico All and Everything di Gurdjieff, che io non avevo ancora letto; alla autobiografia incompiuta di Alice Bailey e al Libro dei morti tibetano nella versione W.Y. Evans-Wentz.

Poi improvvisamente Mark iniziò a parlare di personaggi famosi e io mi ritrovai come un pesce fuor d’acqua. Mi chiese se sapevo da chi era stato iniziato l’esoterista austriaco Rudolf Steiner. La domanda mi stupì: avevo sentito dire che Steiner era stato coinvolto in attività massoniche, e si mormorava che fosse stato compagno di Theodor Reuss nel gruppo esoterico Ordo Templi Orientis, ma l’idea che fosse iniziato a qualche società moderna non mi aveva mai sfiorato la mente. Mark non sembrò sorpreso quando mi limitai a scrollare le spalle e a fare cenno di no con la testa.

Benché la conversazione si fosse arenata sulle secche della mia ignoranza, ben presto Mark riprese il comando della nave. Da Steiner passò agevolmente a parlare di teosofia, di cui almeno qualcosa sapevo, e poi tornò di nuovo alla Confraternita ermetica di Luxor di cui, come confessai, non sapevo nulla. Era evidente che cercava di scoprire da dove venivo e dove andavo, ma le sue domande erano sempre gentili ed estremamente articolate. Fin dal primo momento avevo percepito la ricchezza interiore di quell’uomo, ma non avrei mai immaginato che in un lontano futuro la nostra amicizia sarebbe maturata in modo creativo. Né prevedevo che le nostre vite avrebbero preso direzioni tanto diverse e che sarebbero passati molti anni prima che ci sedessimo di nuovo uno di fronte all’altro, a discutere gli stessi argomenti. I semi erano stati gettati nella libreria Atlantis, quando il sangue solare era colato sulla Luna; tuttavia ci vollero quarantadue anni – un intero ciclo lunare – prima che Mark Hedsel portasse a termine il racconto dello straordinario viaggio che egli aveva compiuto insieme ad alcuni maestri del nostro tempo.

Mark Hedsel, L'iniziato

Sangue sulla Luna


Austin Osman Spare era stato molto povero e forse per questo il pastello aveva una cornice tanto modesta. Fui felice quando, togliendo quella cornice così poco adatta, scoprii in un angolo il monogramma AOS, con cui il pittore si firmava. Mentre avvicinavo alla luce il pastello per osservare meglio la sigla non ebbi bisogno di sfogliare il vecchio catalogo della mostra per rintracciare il titolo di quell'opera. Mi era rimasto impresso nell'anima per tutti quegli anni: era Sangue sulla Luna.

Naturalmente, quando avevo letto quel titolo alla Archer Gallery, mi ero domandato che cosa mai significasse. Ma ero troppo giovane per avere il coraggio di chiederlo al pittore. In seguito, parlando con gli amici e anche con la signora che aveva acquistato il pastello, mi accorsi che nessuno sapeva il perché di quello strano titolo; io avevo letto diversi scritti di Spare ed ero certo che in esso ci dovesse essere un significato nascosto: sapevo che il pittore si interessava alla tradizione geroglifica, ma purtroppo quando cominciai a fare ricerche serie, Spare era scomparso portando con sé, così pensavo, ogni possibile risposta alla mia domanda.

Il significato di quel titolo finii per scoprirlo, ma questa è un'altra storia. Se accenno a questo enigma ora è soltanto per via di qualcosa che accadde al mio secondo incontro con Mark Hedsel.

Era passato più o meno un mese dalla visita alla Archer Gallery quando un giovedì pomeriggio entrai nella libreria Atlantis di Museum Street. Cercavo una copia di seconda mano di un classico dell'esoterismo orientale, Il segreto del fiore d'oro, nella traduzione di Wilhelm.

Per quanto ricordo, a quell'epoca a Londra c'erano soltanto due librerie esoteriche: la famosa Watkins di Cecil Court, diretta da quel colto esoterista che era John Watkins, e l'Atlantis, che apparteneva a Michael Juste, un arcanista di grande competenza.

Il mio primo incontro con Michael Juste, avvenuto due anni prima, era stato molto strano, quasi inquietante. Nel 1953 io avevo appena quindici anni. Il mondo dell'arcano mi incuriosiva già, ma ero molto ignorante al proposito. Avevo da poco deciso che, invece di andare all'università, avrei studiato pittura all'accademia di belle arti. Il giorno in cui varcai per la prima volta la porta della libreria Atlantis, avevo un album da disegno in una mano e una cartelletta nell'altra.

Ripensando a quel momento così importante per la mia vita, mi pare di ricordare che l'Atlantis fosse illuminata da due lampade a gas. Naturalmente c'era già l'elettricità, ma Michael si ostinava a usare due vecchie lampade sistemate sopra quello che un tempo era il camino. Posso ancora sentire il sibilo dei beccucci nel negozio altrimenti silenzioso, e rammento quanto era buio e tetro, di sicuro non un posto dove starsene a sfogliare comodamente i libri. Ebbi la sensazione che l'Atlantis non fosse una semplice libreria, che la sua funzione fosse un'altra.

Una volta dentro il negozio, quando la vista si fu abituata alla semioscurità, mi accorsi di due facce che mi scrutavano, entrambe con penetranti occhi infossati e incorniciate da riccioli fluenti. In quel buio erano così simili che mi ci volle qualche istante per capire che una era quella di un busto di bronzo a grandezza naturale, la copia inerte della persona viva che, sorridendo della mia confusione, si presentò come Michael Juste.

«Ci siamo già incontrati» disse con naturalezza, fissandomi in attesa della conferma.

«Non credo» mormorai. Ero arrivato da poco a Londra e conoscevo al massimo cinque o sei persone in tutta la città.

«Sì. È stato in Egitto. Tu eri uno scriba anche in quella vita.»

Non voleva stupirmi. Parlava con un tono del tutto normale e nella sua voce c’era una sicurezza sconcertante. Erano parole che avrebbero dovuto lasciarmi di sasso, e invece avevano un qualcosa di così rassicurante e fermo che soltanto in seguito mi resi conto della stranezza di quella conversazione.

«Ma in questa vita sarò un pittore» dissi, mostrandogli l’album. Quella mattina mi ero appollaiato davanti alla finestra dell’antica casa di Christopher Wren sulla riva sud del Tamigi, a buttar giù uno schizzo della straordinaria vista di St Paul, che si innalzava oltre i magazzini distrutti dalle bombe. Wren aveva comprato quella casa per seguire i lavori di costruzione della cattedrale, che risorgeva dalle ceneri dopo il Grande Incendio. Ora, da quella stessa finestra si vedeva la sua cattedrale risorgere da altre ceneri. Aprii la pagina in cui c’era il disegno e glielo mostrai.

Michael Juste lo prese e lo guardò, annuendo. Ora nella sua voce c’era un filo di impazienza: «Eri uno scriba allora. Sarai scriba di nuovo. In questa vita» disse, restituendomi l’album da disegno con un gesto piuttosto brusco.

Erano passati due anni e mi trovavo di nuovo nella libreria Atlantis, quando il campanello sopra la porta tintinnò. Entrò Mark Hedsel. Indossava la sciarpa e il basco come l’altra volta e sembrava uno studente parigino della rive gauche, ma più elegante. A tracolla aveva una borsa, che posò sul banco, vicino alla mia cartelletta. Compì quel gesto in modo curioso, prendendo la cinghia fra il pollice e l’indice e rivolgendo verso di noi il palmo della mano. Pensai che fosse una forma particolare di saluto per Michael: avevo sentito parlare di segnali del genere tra confratelli, ma era la prima volta che mi capitava di vederne uno.

Michael si rivolse a me, chiedendomi: «Come ti chiami?».

«David Ovason.»

«David, ti presento Mark Hedsel. Scoprirai che avete molte cose in comune.» Ci fissò entrambi, prima l’uno e poi l’altro, come per indicare che le sue parole avevano un significato particolare.

«L’ho vista alla Archer Gallery» mi azzardai a dire, mentre Mark mi porgeva la mano.

«Alla mostra di Austin?»

Annuii e gli strinsi la mano. «Parlava con Austin Spare.»

«L’ho incontrato soltanto due o tre volte» disse Mark, rivolto a Michael. «Prima che lasciassimo la galleria, aveva venduto otto quadri.»

«Sono contento» rispose ridendo Michael. «Così per un po’ non andrà nei pub.»

«Gli piace bere?» chiesi piuttosto sorpreso.

«No» replicò Mark. «Ci va per vendere le sue tele. È un genio che fa l’ambulante. A volte espone i suoi lavori nei pub. E se qualcuno gli chiede un ritratto, glielo butta giù per quattro soldi.» Si rivolse di nuovo a Michael: «È un tipico genio inglese; un ego solitario, eccentrico e povero. Un reietto».

«Come Blake» aggiunse Michael con un sorriso.

«Per più di un verso» assentì Mark. (Allora non capii a che cosa alludessero con quelle parole. In seguito seppi che Spare era convinto di essere stato Blake in una vita precedente.)

Seguì un silenzio durante il quale Mark mi scrutò attentamente. Aveva un profilo dalle linee nette, un volto giovane e armonioso, ma nel suo sguardo c’era un’espressione matura che faceva pensare avesse superato la trentina da un pezzo: i suoi occhi erano gentili, penetranti e saggi, il suo tratto più peculiare. Dava l’impressione di osservare e valutare, ma senza la minima diffidenza.

«Vuoi venire a prendere un caffè, David?» mi chiese Mark. Continuò a scrutarmi, anche mentre mi rivolgeva questa domanda così innocente, come se a interessarlo non fosse tanto la domanda, e neppure la risposta, quanto io. Mi ero già fatto l’idea che Mark appartenesse a qualche scuola segreta e il cuore mi batteva all’impazzata.

Annuii e allungai la mano per prendere il mio album da disegno, ma nel farlo questo si spalancò e la pesante copertina rovesciò un bicchiere lì vicino che cadde a terra frantumandosi. Confuso, mi chinai a raccogliere i pezzi e li infilai in quel che restava del bicchiere.

«Mi dispiace molto.»

«Non preoccuparti» disse Michael, troncando sul nascere le mie scuse. «Sarà meglio che tu lo metta sotto l’acqua...»

Lì per lì non capii, ma poi, seguendo il suo sguardo, mi accorsi che perdevo sangue da un dito.

Posai di nuovo l’album. Michael andò sul retro del negozio e aprì una porticina che dava su una scala di pietra. Dietro sue istruzioni scesi per la prima volta nella cantina che stava sotto la libreria.

L’atmosfera era misteriosa, ma non sgradevole. Mi sentivo protetto. In seguito, quando cominciai a imparare qualcosa di più sul mondo segreto della magia, ripensai a quella cantina e capii perché mi era sembrata così strana: con qualche rituale magico Michael doveva averla sintonizzata in modo tale che potessero entrarvi soltanto le persone sinceramente interessate all’arcano. Il locale era zeppo di libri occulti e rari, di quadri e cianfrusaglie arcane di ogni genere: oggetti magici, pettorali rituali, bastoni e altre curiosità. La cosa che più mi sorprese fu scorgere, in mezzo a tutto quel disordine, tanti dipinti, pastelli e disegni di Spare. Stipati sugli scaffali e ammonticchiati sul pavimento nella confusione più totale c’erano moltissimi libri e, benché non avessi tempo di sfogliarli, notai nel mucchio rilegature in pergamena splendidamente lavorate con nomi di occultisti famosi, tra cui Agrippa, Dee, Gichtel e Van Helmont.

Mi lavai la ferita, estraendone una minuscola scheggia di vetro, fasciai come meglio potei il dito con un po’ di carta igienica per fermare il sangue e poi, risalendo la scala, ritornai nel negozio.

Quando entrai i due uomini mi guardarono stupiti come fossi un intruso. Sembrava che ridessero fra loro di qualcosa.

«Guarda» mi disse Mark, indicando l’album ancora aperto sul banco. Sul foglio c’era uno schizzo ad acquarello che avevo fatto qualche giorno prima: raffigurava una Diana cornuta, che avevo liberamente ripreso da un’illustrazione di Boris Artzybasheff che amavo molto.

«Guarda» ripeté Mark.

Il sangue, un rivoletto che era colato dal dito ferito, attraversava da una parte all’altra il disegno. Era come un lampo rosso che si stava coagulando e fendeva l’azzurro profondo del cielo notturno e il ventre nudo della celeste Diana.

«Vedi? Sangue sulla Luna» disse Michael Juste.

Rimasi turbato. Non avevo rivelato a nessuno il mio interesse per il quadro di Spare. Volevano forse dimostrarmi di saper leggere nei miei pensieri, nella mia stessa anima? Quei due uomini possedevano la visione superiore di cui parlavano i libri arcani sui segreti dell’iniziazione? A un tratto mi sentii piccolo piccolo davanti a loro.

Allora ero giovane e fu soltanto parecchio tempo dopo che capii come Mark e Michael non pensassero affatto al quadro di Spare. La loro attenzione era stata attirata dall’immagine di Diana nel mio album da disegno: in quel disegno insanguinato avevano colto un significato alchemico.

Nel rivolo di sangue avevano entrambi percepito lo stesso significato nascosto: l’incontro del Sole con la Luna. In alchimia l’unione di Sole e Luna – espressa con simboli diversi, ma interrelati, quali l’accoppiamento del Re e della Regina, o la figura dell’androgino, prediletta dagli incisori del XVI secolo – costituisce una fase importante nella produzione della pietra filosofale, la cui scoperta è il fine degli alchimisti. Nel sangue sulla Luna Michael e Mark videro quel giorno il segno che io mi sarei occupato della coniunctio alchemica, ossia che in me sarebbe sorto l’interesse per l’iniziazione. Da occultisti esperti sapevano che ogni atto – anche quello apparentemente più casuale – ha un suo significato profondo.

Mark Hedsel, L'iniziato

Il primo incontro




Benché la mia attenzione fosse stata anzitutto attirata da Spare, non potei fare a meno di notare la persona che gli era accanto. Anche in mezzo a tutti quegli artisti e poeti di vaglia, che erano venuti a rendere omaggio a Spare, quell'uomo aveva qualcosa di speciale. Mi sentii costretto a osservarlo con attenzione.

Allora non sapevo chi fosse Mark Hedsel, ma dal suo atteggiamento pacato e insieme sofisticato, e dai gesti sicuri capii che non era una persona qualsiasi. Allo stesso tempo ebbi la sensazione, inquietante ma inequivocabile, di averlo già incontrato. Abbiamo sempre un brivido di presentimento quando intravediamo un frammento del nostro destino?

Mi era difficile dargli un'età, ma giudicai che fosse sulla trentina. Era una giornata d'ottobre non particolarmente fredda, ma l'uomo aveva una sciarpa azzurra intorno al collo e in testa un basco alla francese. Sottobraccio portava una cartelletta di cuoio. Il contrasto con Spare non avrebbe potuto essere più netto. Anche il pittore aveva la sciarpa, ma la sua era a scacchi e infilata dentro la giacca, alla maniera di un popolano londinese, di un cockney. Al suo confronto Mark Hedsel era un dandy: la sciarpa scendeva morbida sul bavero del cappotto e in lui c'era un tocco di quella raffinatezza ricercata che io mi figuravo contraddistinguesse quel nobile e misterioso occultista chiamato conte di Saint-Germain. Sì, lo ammetto: quel giorno, quando posai per la prima volta gli occhi su Mark Hedsel, del tutto ignaro che le nostre vite si sarebbero intrecciate negli anni a venire, l'immagine che mi si affacciò alla mente fu proprio quella dell'iniziato elegante e incompreso che si muoveva con tanta disinvoltura nelle corti della Francia prerivoluzionaria del XVIII secolo.

Mark Hedsel, L'iniziato

Ringraziamenti




Il dono più prezioso è l’amicizia, disse il Serpente Verde di Goethe. L’amicizia ha il potere di scorgere la luce interiore al di là dell’ombra, ed è questa sua forza che rende prezioso il dono.

E tuttavia un esoterista non può parlare di luce senza pensare anche all'oscurità, perché sa che la fiamma e l’ombra sono tutt'uno. Si può imparare di più dai nemici che dagli amici, recita un saggio detto esoterico. E se persino un nemico ci può aiutare, allora qualunque incontro con un nemico può in teoria essere un dono di sapienza. Di conseguenza tutte le persone in cui ci siamo imbattuti nella vita, sia pure per un solo istante, meritano i nostri ringraziamenti.

Ci sono però taluni incontri – certe amicizie – che sembrano prive di ombre. Mark Hedsel mi ha raccontato un suo strano contatto con un iniziato, a Chartres. L’uomo era sbucato fuori dal nulla e, spiegandogli un simbolo esoterico, aveva rivelato a Mark la soluzione di un problema che lo tormentava da anni. Poi era sparito con la stessa rapidità con cui era comparso, prima ancora che Mark avesse il tempo di ringraziarlo o di chiedergli il nome. In quest’incontro c’è qualcosa di archetipico; così infatti sono molti incontri veri: profondi sul piano spirituale eppure tanto fuggevoli sul piano spaziale da scivolare via quasi inosservati. Sono certo che se avesse avuto la possibilità di manifestare la sua gratitudine, Mark avrebbe ringraziato quell'ignoto iniziato insieme ad altre centinaia di uomini e donne che gli hanno reso più agevole il viaggio sulla Via in questa Valle.

Mark Hedsel, L'iniziato