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23 marzo 2016

La Sheelah-Na-Gig




La Sheelah-Na-Gig è una delle più strane testimonianze del paganesimo che si possano vedere nelle chiese europee. È l’immagine di una donna con le pudende esposte in modo tale da sembrare una porta spalancata. Il riferimento alla vulva come porta della nascita è chiaro: la figura aveva, forse anche nel mondo pagano, un’origine iniziatica. Meditando su questa immagine si ha l’impressione che la kteis terrena – il didietro della capra, tanto per intenderci – si sia tramutata nella bocca di una vergine sacerdotessa. L’apertura verticale è una promessa di accesso iniziatico, che conduce al di là del corpo fisico della Sheelah.

Si potrebbe forse sostenere che la Sheelah non è più pagana, che raffigura la nascita umana di Cristo, o che simboleggia il Cristo, come portale della vita. Ma sono argomentazioni che si smentiscono da sole, perché la Sheelah è molto più antica del cristianesimo e non basta cambiare interpretazione per cambiare il significato di un simbolo. Che queste immagini lascive siano riuscite a sopravvivere in tante chiese cristiane è già di per sé motivo di meraviglia e forse nasconde una lunga storia.

Secondo Gerald Massey, Sheelah deriva dall’egiziano sherah, che significa “sorgente”, “acque sorgive”, ma anche “rivelare”, “mostrare”, che è precisamente quanto fa la Sheelah dalle facciate e dai campanili delle chiese medievali: mostra le sue parti intime, la sua kteis. Avrete già capito che se non solo il nome, ma anche l’immagine è di origine egizia, allora la Sheelah esibisce il ru.

Senza alzarsi dalla sedia, il maestro allungò il braccio verso la lavagna e disegnò le due curve che formano il geroglifico, accentuando il movimento per dimostrare che il ru era formato da due falci di Luna.

Questo antico segno era a un tempo una kteis, una bocca e una porta, ed era costituito da due mezzelune. Il ru era la porta di ingresso al mondo spirituale, quella che conduceva nella camera dell’iniziazione. Era il passaggio della nascita, posto tra il regno materiale e quello spirituale. Il legame con l’iniziazione si è conservato, per esempio, in Irlanda dove la Sheelah viene talora chiamata Patrick’s Mother, “la madre di Patrizio”, e questo ci ricorda che fu San Patrizio a introdurre sull’isola l’iniziazione al cristianesimo, sostituendo agli antichi metodi iberici dei druidi quelli più avanzati di Cristo. La conversione fu graduale, e le immagini e i luoghi sacri più antichi continuarono a esistere. Già questo è di per sé interessante. Perché, se c’è al mondo una terra in cui gli antichi siti di iniziazione pagana sono ancora vivi, questa è l’Irlanda.

Ma torniamo al ru. Se è vero che è sopravvissuto nella figura semi oscena della Sheelah, è anche vero che compare in immagini cristiane molto più pudiche. Ru è diventato la Vesica Piscis, la mandorla mistica, che nell’arte medievale circonda la Madonna e a volte Cristo. La Vesica è formata anch’essa da due mezzelune che si incrociano. Comprenderete, naturalmente, quanto sia straordinario che la Sheelah sia riuscita a sopravvivere nell’arte ecclesiale: la kteis, per quanto ben mascherata, non è ovviamente un simbolo cristiano, d’altra parte la Sheelah non fa di certo mistero della sua mercanzia.

Se Massey è nel giusto, e il gig del nome deriva dall’egiziano kekh, allora il nome tutt’intero allude alle sue origini iniziatiche, e poiché in egiziano antico kekh significava “santuario”, si capirebbe perché mai la Sheelah si trovi esclusivamente sui muri delle chiese. O c’è forse ancora un significato più profondo? Che la Sheelah sia il retaggio – forse l’unico rimasto nell’arte cristiana – dell’antica magia sessuale tanto diffusa nel mondo pagano e ancora oggi praticata in oriente fra i tantrici? Quanto più si considera la questione, tanto più si è indotti, io credo, a vedere proprio questo nella Sheelah.

Mark Hedsel, L'iniziato

4 marzo 2015

L'iniziazione di Lucio ai misteri di Iside




Nella vibrante sezione finale dell’Asino d’oro, è al tempo della Luna piena che Lucio – stanco di vivere i suoi giorni rinchiuso nella pelle dell’asino – rivolge una preghiera a Iside, la dea velata. È la preghiera che finalmente lo libererà dalla sua forma animale, restituendolo a quella umana. All’improvvisa metamorfosi Lucio si scopre nudo in mezzo a una processione in onore di Iside: il corteo avanza serpeggiando verso il luogo in cui si celebrano i riti di iniziazione ai misteri isiaci.

Apuleio intreccia dunque una parabola al suo racconto: l’asino, che era stato costretto a recitare la parte del matto, viene condotto alla luce di Iside su un piano più alto del proprio io, che gli permette di spogliarsi del suo giogo bestiale.

Lucio sente che non riuscirà mai a ringraziare a sufficienza la dea per un tale dono – «e non basterebbero neppure mille bocche e mille lingue, né un eterno instancabile flusso di parole».

Già radicato in Grecia ai primi del IV secolo a.C., il culto di Iside fu sempre il più diffuso fra quelli dedicati alle divinità egizie, come Serapide e Anubis, in onore dei quali greci e romani eressero templi. I misteri di Iside si sono tramandati nella letteratura ermetica, nei miti sulla verginità e in quelli riguardanti il figlio Horus. Alcune delle immagini egiziane che raffigurano la dea con il figlio al seno o in grembo sono quasi identiche alle immagini e statuette successive della Vergine Maria con il bambino. La cosa forse è meno sorprendente di quanto potrebbe sembrare, se si considera che i misteri isiaci sono stati una preparazione all’avvento di Gesù e dei nuovi misteri della cristianità.

Poiché Iside veniva associata al Nilo, l’acqua costituì sempre un elemento importante nel suo culto; a Pompei, nel tempio a lei dedicato, protetto per molti secoli dalla lava del Vesuvio che lo aveva ricoperto, si riconosce ancora una cisterna che veniva riempita regolarmente con le acque del Nilo. E le feste isiache più importanti in Grecia erano le Ploiaphesia, che celebravano l’inizio della navigazione, mentre a Roma si celebrava l’Isidis Navigium, festa durante la quale una nave riccamente equipaggiata e decorata veniva sospinta al largo in offerta alla dea.

D’altra parte il pavimento della chiesa, di cui la Vergine era protettrice, non si chiamava forse navata, termine che si ricollega alla navigazione? E dunque la Vergine del mondo precristiano era imparentata con l’acqua, esattamente come la Vergine dei cristiani.

Proseguendo nell’affascinante racconto della sua iniziazione, Lucio narra come, dopo essersi spogliato della sua forma oscura di asino, egli venisse introdotto ai tre gradi dei misteri isiaci, conquistando l’alto rango di sacerdote nel collegio esoterico dei pastofori.

Lucio afferma di essere diventato un adepto di Iside alla vigilia delle Ploiaphesia e descrive dettagliatamente lo svolgimento di queste feste, rivelando anche alcuni particolari dei misteri proibiti.

Ecco come racconta il momento dell’iniziazione nel tempio:

«Arrivai ai confini della morte, posai il piede sulla soglia di Proserpina».

La sua «seconda morte» è uno stadio canonico nel processo iniziatico.

Con linguaggio criptico, Lucio dice: Per omnia vectus elementa remeavi, «Poi tornai indietro, passando attraverso tutti gli elementi», esprimendo in tal modo l’idea che sia uscito dal corpo per essere quindi restituito alla pesantezza dei quattro elementi che lo compongono.

Al culmine estatico della sua esperienza, a Lucio è concesso di vedere quello che la letteratura esoterica chiama il Sole di mezzanotte. Rammenta, non senza tremore:

«A mezzanotte vidi risplendere il chiaro fulgore del sole; mi avvicinai agli dei degli inferi e a quelli del cielo, e li adorai da vicino».

Frase che ci ricorda una bella canzone dei primi anni Sessanta, Midnight Sun. La canzone aveva un so che di misterico: la cantava June Christy e faceva parte di un suo album, Something Cool, inciso intorno al 1959. Questa cantante aveva in repertorio diversi pezzi con chiare allusioni arcane, e l’esecuzione faceva pensare che ne conoscesse il significato riposto.

Questo viaggio nel mondo spirituale sfiora il livello più alto dell’iniziazione, eppure Lucio confessa che in quell’occasione gli dei gli concessero altre grandi visioni e rivelazioni di cui non può parlare ai profani.

Aveva forse sollevato il velo di Iside?

Quel velo ha tanto l’aria di essere un’invenzione letteraria: definire Iside velata era un modo simbolico per rappresentare quella dea dei misteri, custode di segreti che non tutti potevano vedere e che nessuno doveva divulgare. Soltanto i suoi adepti potevano sollevare il velo. Ma anche il velo tanto famoso sembra sia nato da uno stravolgimento della parola greca peplos, che era incisa sulla statua della dea e significava «veste». Il monito iniziale aveva connotazioni anche sessuali, com’era prevedibile trattandosi di una dea bellissima: nessun uomo poteva guardare impunemente la sua nudità. E il Sole di mezzanotte non potrebbe essere un simbolo di Cristo – il nuovo dio del Sole Horus – allora invisibile a tutti tranne che agli occhi degli iniziati?

Mark Hedsel, L’iniziato

24 dicembre 2014

I segreti dell'arte profana nelle chiese medievali




Il maestro era già entrato. Lo seguirono uno a uno tutti gli allievi del gruppo. Noi fummo tra i primi e andammo a sederci in terza fila: né troppo lontano, né troppo vicino. Sul tavolino accanto alla sedia del maestro c’era un libro. Il maestro doveva essersi accorto che lo sbirciavamo, allungando il collo per leggerne il titolo.

«Witkowski» disse, prendendo in mano il volume e tambureggiando con le dita sulla copertina. «Il viaggio illustrato di Witkowski attraverso l’arte pagana nelle chiese medievali.»

Non disse altro finché il resto del gruppo non si fu seduto. Quando si fece silenzio, egli indicò il libro con un gesto della mano.

«Il grande alchimista Fulcanelli – al quale ho accennato più volte – fu affascinato da questo libro, e già solo questo sarebbe un buon motivo per guardarne le immagini. È sicuramente un volume molto utile per chi si interessa di sapere arcano. Chiunque compia un viaggio fra le chiese e le cattedrali di Francia dovrebbe portarlo con sé. Per essere un libro che si occupa di monumenti cristiani, è una guida all’arte pagana davvero originale.»

Intanto che parlava, il maestro cominciò a sfogliare il vecchio volume, con il volto raggiante di piacere.

«Adoro queste illustrazioni. Semplici incisioni, ma così stimolanti. Alcune immagini sono la prova che l’arte cristiana è stata completamente travisata dai moderni. Qualcuno oggi potrebbe pensare che la Festa dei pazzi, con tutta la licenziosità e il caos che la accompagnavano, costituisse un’eccezione, un ritorno a un’antica festività romana, un semplice imbarazzo per la Chiesa, un’isola inspiegabile di celebrazioni pagane in mezzo a un continente tutto cristiano. Ma non è affatto così. Le immagini profane che Witkowski ha raccolto nelle chiese e cattedrali d’Europa dimostrano come quello spirito che animava la festa fosse vivissimo nel Medioevo. La Festa dell’asino sgorgava da una forza vitale possente – una gioia primigenia – che è stata quasi interamente stravolta nell’era moderna, e che tuttavia sopravvive ancora, almeno in parte, nell’arte.

«Gli antichi si accostavano all’arte in modo molto diverso dal nostro. Il loro approccio non era affatto intellettuale. Capivano, con una profondità spirituale per noi quasi incomprensibile, che la vera arte spalancava le porte del mondo spirituale. Questo lo sentono ancora oggi le persone con una vita spirituale profonda: si racconta che Picasso, nel suo studio, tenesse coperti con un telo alcuni dei grandi capolavori da lui acquistati, perché, diceva, erano troppo potenti. È questo il modo giusto di accostarsi all’arte. Le nostre pinacoteche e i nostri musei dovrebbero essere luoghi di meditazione e non luoghi di incontri chiassosi, perché l’arte vera è la sentinella del mondo superiore.»

Marilyn, seduta in prima fila, domandò: «Se l’arte, come lei afferma, riguarda le nostre emozioni più che l’intelletto, ciò significa che la capacità di capire l’arte va ricondotta alle nostre facoltà astrali?»

«Sì, è così. La domanda che vi dovete porre è: quale parte di voi entra in gioco quando osservate un’opera d’arte? Se guarderete soltanto con l’occhio fisico, non vedrete niente di prezioso. Forse riesco a spiegarmi meglio con la musica. Se ascoltate un capolavoro – per esempio il Triplo concerto di Beethoven – soltanto con l’orecchio, non sentirete quasi nulla. Dovete ascoltarlo con tutto il corpo. Il corpo deve restare perfettamente immobile, per farsi cassa di risonanza del corpo eterico e di quello astrale. Soltanto quando i tre corpi – fisico, eterico e astrale – si muovono all’unisono si comincia a godere della musica. La stessa regola vale per l’arte visiva. Ma quando si contempla un quadro è un po’ più difficile dimenticare il corpo di quando si ascolta la musica.»

Marilyn intervenne di nuovo: «Questo approccio meditativo è connesso con l’esperienza estetica?»

«Sì. È anzi la fonte di ogni vera percezione della bellezza. L’esperienza estetica comporta una separazione nell’anima, in un certo senso una scissione, il distacco temporaneo dell’astrale dall’eterico. È un’esperienza di natura interamente spirituale, che nasce dal contatto con gli elementi segreti contenuti nelle opere d’arte. L’esoterista Goethe, all’inizio del XIX secolo, era consapevole di questo elemento magico insito nell’arte: ecco perché sosteneva che non si dovrebbe mai parlare di un quadro o di una scultura se non avendoli davanti agli occhi. Se l’opera d’arte è assente, l’esperienza estetica non può avvenire, si può parlare soltanto della sua parte morta, ossia dell’immagine fisica, senza coglierne l’interazione con il piano eterico e quello astrale. È questa una delle ragioni per cui la storia dell’arte è così esanime e priva di senso: perché si occupa dell’aspetto fisico delle opere artistiche e non di quelli eterico e astrale, che sono vivi e ne costituiscono l’aspetto veramente magico.»

Maria, una ragazza molto carina che era seduta qualche fila dietro di noi, osservò: «Lei ha parlato più volte di schermi occulti, ma non sono certa di avere ben capito che cosa questo significhi in campo artistico. So che cosa sono gli schermi occulti, ma non vedo quale uso se ne possa fare in arte. Dopo tutto, un’opera d’arte la vediamo per quello che è. Non capisco come quello che vediamo possa costituire anche la maschera di qualcosa che non si vede.»

«Cercherò di chiarirti le idee mostrandoti un paio di esempi di grande scultura medievale.»

Il maestro prese il libro di Witkowski e l’aprì su due pagine che contenevano tre illustrazioni.

«Passatevele e osservatele mentre parlo.»

Passò il libro a una giovane donna seduta in prima fila.


«La xilografia a sinistra rappresenta una composizione scultorea della chiesa medievale di St-Pierre a Moissac, nel Sud della Francia. Vi si riconosce una peccatrice, nuda, aggredita da creature che sembrano essere rospi e da serpenti. Un demonio la tiene per un braccio. L’immagine di destra proviene dallo stesso luogo e rappresenta due peccatori con sulle spalle due demoni.

«Un osservatore distratto potrebbe scambiare queste immagini per allegorie di peccatori all’inferno o in un purgatorio, quasi esortazioni visive a non cadere nel peccato.

«Una cosa deve essere subito chiara: gli scultori non intendevano raffigurare, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la vita all’inferno o al purgatorio. Le persone che vedete sono esseri umani normali, vivi, sono comuni peccatori. La donna aggredita dai serpenti è dissoluta, ecco perché i rospi mostruosi si interessano tanto alle sue parti intime e ai suoi seni, e perché il demone che l’afferra tiene il serpente in una posa così inequivocabilmente allusiva.

«I due uomini con i demoni sulle spalle sono un’allegoria del peccato dell’avarizia: quello seduto, che tiene strette le borse con il denaro, è un avaro, che rifiuta l’elemosina al mendicante.

«Ma i due non sono all’inferno: entrambi sono ritratti in forma eterica e astrale. L’artista li denuda, ce li mostra come li vedrebbe chi possiede in alto grado il dono della chiaroveggenza ed è capace di percepire sui piani spirituali. I due uomini sono forme simboliche del corpo eterico e di quello astrale: un vero veggente riuscirebbe a vedere i rettili e i demoni odiosi che si sono impossessati di loro.

«La donna nuda non è all’inferno. È raffigurata come un essere vivo, benché quello scolpito non sia il suo corpo fisico. La sua anima, a causa della sua predisposizione a cadere in un certo tipo di peccato, è divorata continuamente da creature mostruose. Il suo corpo fisico può essere bello e attraente quanto si vuole, ma il suo corpo eterico – in conseguenza del peccato – è ottenebrato dai demoni che la divorano. Tuttavia l’immagine, lo ribadisco, non raffigura un peccatore all’inferno, bensì un corpo eterico malato qui, sulla Terra. È un corpo che ha un bisogno disperato di purificazione, di guarigione. Guardandolo, si capisce perché Paracelso chiamasse l’eterico “il corpo dei veleni”.

«La donna è nuda forse perché così il suo peccato, che è la lussuria, traspare con più evidenza. Ma la sua nudità, in così netto contrasto con le figure vestite degli uomini, ha anche un altro significato: indica che si tratta soltanto del suo corpo eterico, il corpo che gli artisti di Moissac avrebbero chiamato ens veneni, o vegetabilis. La donna ha le braccia alzate e con le mani si afferra i capelli: questo è il gesto dell’anima eterica. È lo stesso che compare nelle immagini cristiane dipinte o graffite sui muri delle catacombe a Roma, è l’atteggiamento chiamato “orans”, della preghiera, alla cui origine c’è in realtà il geroglifico egizio ka.

«Tutti questi indizi non lasciano dubbi sul fatto che la peccatrice sia una persona viva, e noi abbiamo il privilegio di vedere lo stato del suo corpo eterico. Ecco, dunque, Maria, un esempio di schermo occulto.

«Adesso osserva la seconda xilografia della scultura di Moissac. Un veggente capirebbe subito che il mendicante si avvicina all’avaro sul piano astrale, e che a dirigere la transazione sono i demoni, i quali, in un certo senso, aggirano l’ego degli uomini. Si tratta di una transazione demoniaca, non umana. I demoni stanno in spalla ai due uomini, a dimostrazione che se ne sono impossessati. Non dimenticare che possessione deriva da una parola latina, che significa letteralmente “star seduto su qualcosa”. Quando, recitando il Padre Nostro, preghiamo Dio di non indurci in tentazione, chiediamo di trovare dentro il nostro ego la forza di resistere alle tenebre, che i demoni calano costantemente sul nostro corpo astrale.

«Il mendicante e l’avaro, al contrario della donna dai facili costumi, sono vestiti. Questo in parte può dipendere dal fatto che lo scultore intendeva esprimere il rango sociale di ciascuno dei due: il primo è avvolto in panni laceri e ha una gamba nuda, mentre l’uomo seduto indossa abiti che ne testimoniano la ricchezza. Ma c’è anche un’altra ragione per cui le due figure sono vestite: gli indumenti indicano che sono rappresentate come se fossero a un livello successivo rispetto a quello eterico, ossia sul piano astrale, che a quell’epoca si chiamava animalis o ens astrale.

«Quegli abiti costituiscono di certo una forma di travestimento: nessuno dei due infatti ha le scarpe. In base alla simbologia arcana, questo significa che non sono sulla Terra materiale. L’elemento più “terreno” di questa immagine è la pesante borsa di denaro: è legata al collo dell’avaro, come una punizione, e pesa sulla sua anima, tirandola verso il basso. La sua funzione è la stessa del fagotto che il Matto dei tarocchi porta in spalla.

«I demoni che si sono “impossessati” dei due uomini sono esseri astrali: le ali di cui è dotato quello di sinistra indicano che può volare sul piano astrale. Le corna dell’altro, a forma di falce, ci ricordano il legame dei demoni con la Luna. Ma come la donna non sa che il suo corpo eterico è divorato dai mostri, così l’avaro ignora che il suo corpo astrale è oppresso dal denaro e dal demone che lo serra alla gola con le ginocchia. Non si tratta tanto di simbolismo, quanto di ciò che può esser percepito sul piano spirituale da chi ha occhi per vedere.»

Prese di nuovo il libro.

«In questo splendido volume di Witkowski c’è un’altra immagine che costituisce una sorta di omelia sulla natura dell’esoterismo e degli schermi occulti.


«A pagina 181…» sfogliò velocemente e poi porse di nuovo il libro aperto a un allievo seduto in prima fila perché guardasse la figura e quindi la passasse agli altri «troverete una xilografia molto interessante. È la riproduzione di una miniatura – conservata alla Bibliothèque Nationale Française – in cui è rappresentata la celebrazione di un battesimo. Alcuni studiosi affermano trattarsi di San Giovanni che battezza Maria Maddalena, ma la cosa in sé non ha grande importanza. Nei primi secoli il battesimo avveniva per immersione totale, ed è per questo che la donna è nuda dentro una grande tinozza. Le onde sul pavimento non sono acqua che trabocca dal “fonte battesimale”, come ci si potrebbe aspettare, ma indicano simbolicamente che il Battista è nel fiume Giordano. La donna, con le braccia alzate, compie esattamente lo stesso gesto eterico che abbiamo notato poco fa. Nella mano sinistra San Giovanni regge un libro – presumibilmente sta leggendo le formule rituali – mentre con la destra sfiora il capo chino della battezzanda. La scena, inutile dirlo, è iniziatica.

«Osservate il contrasto fra la pace e la compostezza della cerimonia e il tumulto che si è sollevato davanti al battistero. Sette uomini si azzuffano per sbirciare al suo interno attraverso fori e fessure: ma non è il battesimo che li interessa, bensì la donna nuda. Uno di loro è in un tale stato di eccitazione che sviene; un altro si strappa i capelli perché non riesce a spiare. Tutti sono travolti dalle loro emozioni astrali.

«Se la composta scena interna è iniziatica, il disordine di quella esterna è sicuramente la rappresentazione dell’ordinaria follia del mondo. Quegli uomini sono incapaci di capire la natura spirituale dell’evento. Non vedono altro che i seni scoperti della donna: è come se guardassero la forma nuda di Iside, ma non ne cogliessero il senso interiore.

«L’immagine ci offre un quadro davvero straordinario del rapporto che i misteri intrattengono con il mondo normale. In un certo senso si può dire che l’iniziazione non è affatto nascosta. È vero che la porta del battistero è chiusa, come è giusto che sia. Nonostante la confusione all’esterno, dentro prosegue l’intenso rituale, il quale è come se si svolgesse in uno spazio e in un tempo diversi da quelli in cui vivono gli uomini che stanno fuori. L’analogia con la verità dell’iniziazione è perfetta: l’iniziazione appartiene davvero a uno spazio e a un tempo differenti da quelli del mondo quotidiano, i cui occupanti non sono in grado di riconoscere non solo l’iniziazione per quello che è, ma neppure gli iniziati, anche quando li hanno proprio sotto gli occhi.

«Quei sette uomini sono incapaci di comprendere veramente quello che accade. Sono distratti dallo schermo occulto, ossia i seni e il corpo nudo della donna, che li risucchiano a livello astrale. Sono accecati dall’intensa passione, generata dal loro corpo astrale. Ognuno si autoacceca, probabilmente con uno dei sette peccati mortali che sgorgano da tale corpo. Se solo riuscissero a spostarsi su un altro livello, in una parte diversa di sé, più alta, le squame astrali cadrebbero dai loro occhi ed essi si renderebbero conto di assistere a un mistero, a un’iniziazione.

«Come questi uomini, anche i partecipanti alla Festa dei pazzi vedevano soltanto un somaro che, ragliando in modo sacrilego, veniva condotto in chiesa. Non scorgevano la saggezza nascosta dietro il velo dei simboli. Se soltanto quanti durante la Festa dei pazzi si comportavano come asini fossero riusciti a ritrarsi in se stessi per un solo istante e a ritrovare la pace interiore… se soltanto fossero stati capaci di trasferirsi in una parte diversa di sé, si sarebbero resi conto di assistere a un mistero profondo.»

Mark Hedsel, L'iniziato

19 dicembre 2014

Il significato arcano della Festa dell'asino




«Nel suo libro sul segreto delle cattedrali, Fulcanelli osserva che l’asino della Festa dei pazzi aveva un tempo percorso le vie di Gerusalemme. Dice che aveva calpestato quelle strade con il suo sabot. So che sabot significa sia zoccolo dell’asino sia calzatura di legno, ma mi chiedo se la parola non abbia qualche significato arcano che faccia lume sulla Festa dei pazzi.»

Il maestro annuì. «Sì, sabot è una parola molto interessante. Ma per comprenderne il significato riposto occorre conoscere anche i segreti nascosti in quella replica pagana dell’entrata dell’asino a Gerusalemme che è la Festa dei pazzi, e il significato arcano dello stesso asino. In questa celebrazione anarchica, chiamata a volte anche Festa dell’asino, l’animale veniva sospinto oltre il portale della chiesa o della cattedrale, dentro la navata, in una oscena imitazione dell’ingresso a Gerusalemme (la navata che i pazzi in maschera percorrono è imparentata con la parola nave, associazione che non sfuggì all’autore della Narranschiff, La nave dei folli). Nelle preghiere blasfeme che seguivano, i presenti anziché dire “Amen”, ragliavano. Ciò potrebbe sembrare un sacrilegio, anche nel contesto della Festa dei pazzi in cui pure il dileggio e la licenziosità erano all’ordine del giorno. Ma noi dobbiamo porci un’altra domanda: quel sacrilegio aveva un significato arcano?

«In ebraico l’asino è hamor, e athon l’asina. Nella Bibbia, quando Zaccaria profetizza che il Signore arriverà in groppa a un asino – profezia che si compirà con l’entrata di Gesù a Gerusalemme – egli usa la parola athon. L’ingresso di Gesù in groppa a un asino viene di solito interpretato come un segno di umiltà, della riluttanza di Cristo a presentarsi come re. Ma l’episodio può essere visto anche diversamente. Poiché in Palestina era proibito andare a cavallo (un divieto infranto, a quanto pare, da Salomone), l’asino godeva di una considerazione diversa da quella attuale: non era affatto una creatura degradante, dal momento che se ne servivano anche i re e i ricchi (sia uomini sia donne), anzi, il termine “asina” nella forma plurale athona era spesso usato per indicare i potenti e i danarosi. È facile capire perché gli alchimisti (molti dei quali conoscevano l’ebraico, indispensabile per praticare la loro arte) si siano così entusiasmati alla storia dell’asino: nella loro Lingua Verde athona assomigliava troppo ad atanor, per non risvegliare il loro interesse. L’atanor era un forno ad alimentazione continua che gli alchimisti usavano per mantenere costante la temperatura: non sorprende quindi di vedere, in opere di alchimia, immagini alchemiche di Saturno o di “re” solari (che simboleggiano i gradi iniziatici) situate sopra i forni.

«Gli studiosi sono sempre stati in disaccordo sull’etimologia di “Gerusalemme”, ma nella cabala, la legge esoterica degli ebrei, essa significa “fondamento di pace”. Questa interpretazione ricorda l’importanza che veniva attribuita al tempio di Salomone, il quale si ritiene sorgesse in origine in questa città. L’asino, che durante il Festum Fatuorum oltrepassava con il suo cavaliere la soglia della chiesa o della cattedrale, entrava in un certo senso a Gerusalemme, ossia nella pace. Ma quest’asino, che porta, per così dire, in groppa un’imitazione di Cristo, ha gli zoccoli, che in francese si chiamano sabots. Fulcanelli ha perfettamente ragione nel collegare sabot sia con Saba sia con Caba. Torneremo sulla prima parola tra un momento, per ora osserviamo che Caba rinvia al mistero della Cabala, la tradizione esoterica degli ebrei.

«La terra di Saba è in realtà la terra dei sabei. Nell’antica Persia i sabei erano famosi maghi-astrologi, così potenti, che i maghi medievali usavano il loro nome come parola magica: e infatti “sabei” compare spesso sui sigilli e negli incantesimi. 

L’idea del “potere magico” del nome “sabei” è filtrata anche nella mitologia medievale, tant’è vero che nella Legenda aurea, la regina di Saba, grazie al suo potere magico di chiaroveggenza, riconosce in una tavola di legno, gettata come passerella su un fiume, la Croce di Cristo. Ma la cosa che qui ci interessa è che i sabei erano maghi famosi, e che la parola francese Saba con cui vengono indicati è molto vicina a sabots, “zoccoli”.

«Ma c’è dell’altro: Saba è molto simile a sabba, termine con cui si indicavano i convegni delle streghe: ancora oggi in francese faire un sabbat significa “fare un fracasso infernale”. Espressioni come queste ci avvicinano all’esuberanza sfrenata che doveva caratterizzare la Festa dei pazzi.

«Siamo così arrivati a uno dei grandi segreti del Medioevo. La parodia della Chiesa – espressa nella pietra attraverso particolari come l’asino in abito talare, o in modo più effimero nelle rappresentazioni dell’annuale Festa dei pazzi – andava ben al di là della farsa. Alcuni iniziati, nel silenzio delle loro scuole, avevano da tempo capito che la Chiesa, abbandonato il suo fine esoterico, era diventata un organismo burocratico simile all’Impero romano. Furono questi iniziati a inventare, o comunque a ispirare, simboli segreti come quello dell’asino per attaccare una Chiesa troppo compiacente. In questo modo il frastuono del sabba veniva portato oltre i sacri portali della Gerusalemme simbolica, che avrebbe dovuto essere un luogo di pace, e si comunicava alla Chiesa che il suo andazzo non era passato inosservato. La domanda che questa festa anarchica poneva era: chi è il Matto? L’asino che porta Cristo oppure la Chiesa che ha cessato di portare Cristo?

«Tra i documenti iconografici più interessanti del periodo in cui la Festa dei pazzi era così popolare si trovano le filigrane riproducenti la figura dell’asino: in mezzo alle grandi orecchie dell’animale è inserita una stella a cinque punte. Harold Bayley, studioso della materia, sostiene che questi segni appartengono alla lingua occulta di gruppi esoterici perseguitati dalla Chiesa: essi sono, dice, un’immagine dell’asino glorificato, iniziato, ossia dell’asino che ha riportato Mosè in Egitto e Cristo a Gerusalemme. 

«E dunque anche le filigrane indicano l’esistenza di una via iniziatica asinina: è la Via del Matto, e a guidarla è una stella.»

Mark Hedsel, L'iniziato

1 dicembre 2014

L'Asino d'oro




Nelle parabole sorte intorno ai misteri cristiani l’asino era stato redento perché aveva portato Cristo in trionfo per le strade di Gerusalemme: il segno di questa avvenuta redenzione era la nera croce che Gesù aveva lasciato impressa sulle spalle dell’animale. Il carattere esoterico del racconto è chiarissimo: il nostro corpo fisico, composto dai quattro elementi, è anche la quadruplice croce che dobbiamo portare.

Anche nella letteratura esoterica pagana l’asino è un simbolo misterico: è la creatura da cui può nascere l’iniziato ai sommi misteri. Nel più famoso racconto iniziatico del mondo antico il simbolismo dell’asino assume forme sofisticate e drammatiche: nell’Asino d’oro di Apuleio, il protagonista, Lucio, viene trasformato in asino perché si diletta di magia. Veramente quando aveva chiesto gli unguenti alla maga Pamfila Lucio non aveva alcuna intenzione di diventare un asino, anzi, voleva volare. Ma quando si ritrova, per la sua ignoranza della magia, chiuso in quella forma asinina, cambia subito idea e il suo desiderio più grande diventa quello di ritornare a essere uomo.

Dopo avere attraversato in veste di asino molte peripezie, spaventose e degradanti, Lucio si rende conto che soltanto il mondo spirituale può aiutarlo. Nelle ultime pagine del libro, mentre è ancora prigioniero del suo corpo d’asino, egli si sveglia «nel più misterioso dei momenti», quando la Luna è alta in cielo. Rivolge a Iside, la divinità lunare, la preghiera di liberarlo dalla sua forma bestiale, invocandola con tutti i suoi nomi segreti. Viene ascoltato. La dea gli appare in sogno o forse durante una visione. In mezzo alla fronte ha una Luna che come uno specchio promana la sua stessa luce. Soltanto il manto di Iside è completamente scuro e oscurante, ma sulla tunica si intravedono le stelle e la Luna piena. Iside ha con sé un sistro magico, come la dea egizia e come i sacerdoti iniziatici. Comunica a Lucio di essere venuta a soccorrerlo. L’asino si sveglia e scopre di essere in mezzo a una processione iniziatica, che, sotto certi aspetti, assomiglia ai cortei medievali della Festa dei Pazzi, con un’unica differenza: in Apuleio la processione è in onore dei misteri di Iside e non di quelli cristiani.

Lucio sapeva fin dal principio delle sue tribolazioni che se fosse riuscito a mangiare una rosa sarebbe tornato alla condizione umana. Ebbene, un sacerdote iniziato, istruito dalla dea, si stacca dal corteo e porge all’asino un mazzo di rose. L’asino d’oro, arricchito dalla sapienza e dal dolore che la sua servitù di bestia gli ha procurato, mangia le rose e come per miracolo si trasforma in un uomo più elevato.

Tale è lo stupore per il mistero della metamorfosi tanto agognata che Lucio resta paralizzato e non dice nulla. Non conosce parole capaci di esprimere la sua gioia e neppure per ringraziare la dea della sua generosità. Conformemente all’antica saggezza misterica, si ha qui l’affermazione che le parole servono soltanto nel mondo ordinario e valgono ben poco nei misteri supremi dello spirito.

Mark Hedsel, L'iniziato