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18 luglio 2015

La danza della gru




Anche la passione che ho rivelato a te e agli altri nella danza in tondo, la chiamerei un mistero.
(Cristo a Giovanni dopo la Passione, Atti di Giovanni)

Raccontano i miti greci come Teseo, dopo aver ucciso il Minotauro a Creta, facesse vela verso l’isola sacra di Delo, portando con sé Arianna e alcuni dei giovani e delle vergini ateniesi che aveva salvato. Raggiunta la terra ferma, Teseo e i compagni si diedero a una danza che riprendeva nei suoi movimenti le intricata sinuosità del labirinto da cui erano fuggiti. Quella danza era un’espressione di gioia traboccante, una celebrazione della fuga o il segno di un substrato esoterico legato al mito del labirinto?

Plutarco che la descrive, la chiama «danza della gru», perché, dicono i critici, i danzatori ne imitano i movimenti. Eppure la danza labirintica di cui Plutarco parla non assomiglia affatto a quella di un uccello.

Plutarco era, lo dice egli stesso, un iniziato e pertanto era abituato a celare le proprie verità ricorrendo alla Lingua Verde, per sviare i non adepti. La parola che egli usa per definire la danza è geranos: che essa non abbia qualche altro significato, sfuggito agli interpreti? È un’ipotesi plausibile, dal momento che in greco geraneion indicava una sostanza alchemica.

In realtà non è necessario setacciare i documenti dell’arte spagirica per trovare un significato più idoneo alla «danza della gru»: il termine greco, infatti, oltre a denotare quella che gli ornitologi chiamano la Gru cinerea, indicava anche la comune gru, la macchina usata per sollevare i pesi, una leva meccanica. I danzatori di Delo, che festeggiavano la vittoria sul Minotauro, ballavano forse con movenze tali da essere sollevati al di fuori del corpo fisico, verso le stelle?

È una domanda tutt’altro che peregrina, poiché proprio questo è lo scopo precipuo di alcune danze rituali, come indicano chiaramente i volteggi dei dervisci sufi, che ruotano in tondo per diventare tutt’uno con Dio e conquistare la quiete interiore. In Italia, esistevano scuole esoteriche di danza molto prima che i sufi introducessero le loro evoluzioni.

I disegni complessi tracciati dal vero danzatore non saranno per caso lo specchio del movimento cosmico, di quella che gli antichi bramini indiani chiamavano la danza di Shiva, divinità che rappresentava le forze generatrici nelle religioni vediche? I discepoli dell’iniziato Pitagora consideravano la danza un tentativo di riprodurre il moto dei pianeti e delle stelle, attribuendole uno scopo che è identico a quello che si propone la vera meditazione.

Un documento, definito «il più raro dei manoscritti occulti», descrive il viaggio che un neofita, librandosi al di fuori dal corpo, compie nello spazio: racconta dunque costui di avere goduto per un istante del dono di innalzarsi sulla superficie della Terra. Dapprima egli viene sollevato da una guida invisibile e sale così in alto che il nostro pianeta gli appare come una vaga nuvola.

«Fui portato» ricorda «a un’altezza immensa. La mia guida invisibile mi abbandonò e io discesi di nuovo. A lungo rotolai nello spazio…» Poi la guida lo solleva ancora, conducendolo a distanze incommensurabili. «Ho visto globi volteggiare intorno a me e terre gravitare verso i miei piedi…»

Nonostante la paura che lo prende, l’esperienza che questo neofita racconta non è tanto una prova quanto un preludio di quello che ora viene chiamato viaggio astrale, un viaggio nel mondo sidereo dei regni spirituali.

Le descrizioni di viaggi astrali, su fino alle stelle, non sono affatto una rarità nella letteratura arcana. Ma in questo innalzarsi, dietro una guida invisibile, non potrebbe forse esservi la conferma del significato esoterico che abbiamo suggerito per la «danza della gru»? Narrando il suo viaggio astrale, l’autore, che potrebbe essere il conte di Saint-Germain, era sicuramente convinto di raccontare un episodio della danza descritta da Plutarco. Ogni capitolo di questo importante libro è preceduto da un’immagine esoterica. Quella relativa al racconto dell’innalzamento nei cieli contiene tre immagini e quattro blocchi di scritte in un codice segreto. Uno dei tre oggetti è un’antica ara, su cui arde una fiamma ascensionale. Un secondo è un candeliere con un’unica candela, la cui base è formata da serpenti di bronzo intrecciati. Il terzo è una gru in volo, con le zampe e le ali nere, il corpo argenteo, la testa rossa e il collo dorato. È dunque un uccello alchemico: il nero rappresenta Saturno, l’argento è la Luna, il rosso Marte e l’oro è il Sole. Come la fiamma sull’altare e la candela sollevano verso l’alto l’anima della luce, altrettanto farà la gru.

La nostra tesi è che chi entra in uno stato di meditazione profonda, sia attraverso l’immobilità sia attraverso la danza, viene sollevato verso il mondo spirituale da forze invisibili, esattamente come fa una gru. Viviamo in un pianeta che è in perenne danza. La sua coreografia è ancora segreta, anche per gli astronomi, perché se è vero che la Terra si muove in circolo intorno al Sole, è anche vero che oscilla, e che in termini cosmici il suo centro solare è ben lontano dall’essere fisso. Chi saprebbe descrivere con precisione la vera traiettoria di un movimento così complesso? Noi stessi facciamo parte del cosmo, della Terra, e di questa traiettoria e danza cosmica. Quanti cercano dentro di sé la quiete per raggiungere il regno dello spirito sono già in movimento, per il fatto stesso di dimorare sulla Terra. Quali che siano le motivazioni di chi medita, ogni meditazione avviene nella danza.

La sostanza di cui è fatto il mondo è un’immagine riflessa sulla superficie immobile di uno stagno. Senza la superficie, in cui acqua e aria sembrano incontrarsi, non ci sarebbe alcun riflesso, e il riflesso è l’unica cosa che esiste. La speranza più grande per l’anima che si evolve fra tanta illusione sta nella meditazione, nel fortificare la mente. Questa fissità nel bel mezzo del cerchio di fuoco roteante in cui danza il dio Shiva è il silenzio davanti al pulsare del cuore della natura. La speranza, come ha detto T.S. Eliot, sta «nel punto immobile del mondo che gira».

Il silenzio interiore che nasce dalla meditazione è minacciato dall’interno e dall’esterno. A volte i pericoli sono come onde lievi che lambiscono la riva; a volte sono furibondi marosi che si schiantano contro il litorale. Come la persona retta che ha commesso una cattiva azione ha periodici sensi di colpa ogni volta che riaffiorano i ricordi, così tutti gli esseri umani immersi nella vita sono soggetti ad attacchi di karma negativo. Sia le aggressioni interiori, sia quelle esteriori, che i saggi orientali chiamano vasana, nascono dal karma passato. I vasana affiorano alla coscienza, uno dopo l’altro: sono, dice la letteratura sanscrita, come onde sulla sabbia. I primi monaci cristiani non erano poetici come gli yogin indiani e propendevano piuttosto per immagini teriomorfe: le onde del mare erano ai loro occhi animali e demoni mostruosi che distraevano la mente con fantasie deliranti, maschere dietro cui si nascondevano i sette peccati capitali.

Qual è la natura di questa danza della gru, danza della vita, in cui siamo lambiti da onde karmiche? La danza esterna – sia che ci innalzi fino ai cieli, sia che ci faccia semplicemente roteare nello spazio – dipende in realtà da un’altra danza: quella del sangue. È la circolazione sanguigna che stabilisce il ritmo della nostra danza intima: è un mare interno, le cui onde sono anch’esse simili a vasana e misurano inesorabilmente il flusso e il riflusso degli imperativi karmici.

Mark Hedsel, L'iniziato

24 dicembre 2014

I segreti dell'arte profana nelle chiese medievali




Il maestro era già entrato. Lo seguirono uno a uno tutti gli allievi del gruppo. Noi fummo tra i primi e andammo a sederci in terza fila: né troppo lontano, né troppo vicino. Sul tavolino accanto alla sedia del maestro c’era un libro. Il maestro doveva essersi accorto che lo sbirciavamo, allungando il collo per leggerne il titolo.

«Witkowski» disse, prendendo in mano il volume e tambureggiando con le dita sulla copertina. «Il viaggio illustrato di Witkowski attraverso l’arte pagana nelle chiese medievali.»

Non disse altro finché il resto del gruppo non si fu seduto. Quando si fece silenzio, egli indicò il libro con un gesto della mano.

«Il grande alchimista Fulcanelli – al quale ho accennato più volte – fu affascinato da questo libro, e già solo questo sarebbe un buon motivo per guardarne le immagini. È sicuramente un volume molto utile per chi si interessa di sapere arcano. Chiunque compia un viaggio fra le chiese e le cattedrali di Francia dovrebbe portarlo con sé. Per essere un libro che si occupa di monumenti cristiani, è una guida all’arte pagana davvero originale.»

Intanto che parlava, il maestro cominciò a sfogliare il vecchio volume, con il volto raggiante di piacere.

«Adoro queste illustrazioni. Semplici incisioni, ma così stimolanti. Alcune immagini sono la prova che l’arte cristiana è stata completamente travisata dai moderni. Qualcuno oggi potrebbe pensare che la Festa dei pazzi, con tutta la licenziosità e il caos che la accompagnavano, costituisse un’eccezione, un ritorno a un’antica festività romana, un semplice imbarazzo per la Chiesa, un’isola inspiegabile di celebrazioni pagane in mezzo a un continente tutto cristiano. Ma non è affatto così. Le immagini profane che Witkowski ha raccolto nelle chiese e cattedrali d’Europa dimostrano come quello spirito che animava la festa fosse vivissimo nel Medioevo. La Festa dell’asino sgorgava da una forza vitale possente – una gioia primigenia – che è stata quasi interamente stravolta nell’era moderna, e che tuttavia sopravvive ancora, almeno in parte, nell’arte.

«Gli antichi si accostavano all’arte in modo molto diverso dal nostro. Il loro approccio non era affatto intellettuale. Capivano, con una profondità spirituale per noi quasi incomprensibile, che la vera arte spalancava le porte del mondo spirituale. Questo lo sentono ancora oggi le persone con una vita spirituale profonda: si racconta che Picasso, nel suo studio, tenesse coperti con un telo alcuni dei grandi capolavori da lui acquistati, perché, diceva, erano troppo potenti. È questo il modo giusto di accostarsi all’arte. Le nostre pinacoteche e i nostri musei dovrebbero essere luoghi di meditazione e non luoghi di incontri chiassosi, perché l’arte vera è la sentinella del mondo superiore.»

Marilyn, seduta in prima fila, domandò: «Se l’arte, come lei afferma, riguarda le nostre emozioni più che l’intelletto, ciò significa che la capacità di capire l’arte va ricondotta alle nostre facoltà astrali?»

«Sì, è così. La domanda che vi dovete porre è: quale parte di voi entra in gioco quando osservate un’opera d’arte? Se guarderete soltanto con l’occhio fisico, non vedrete niente di prezioso. Forse riesco a spiegarmi meglio con la musica. Se ascoltate un capolavoro – per esempio il Triplo concerto di Beethoven – soltanto con l’orecchio, non sentirete quasi nulla. Dovete ascoltarlo con tutto il corpo. Il corpo deve restare perfettamente immobile, per farsi cassa di risonanza del corpo eterico e di quello astrale. Soltanto quando i tre corpi – fisico, eterico e astrale – si muovono all’unisono si comincia a godere della musica. La stessa regola vale per l’arte visiva. Ma quando si contempla un quadro è un po’ più difficile dimenticare il corpo di quando si ascolta la musica.»

Marilyn intervenne di nuovo: «Questo approccio meditativo è connesso con l’esperienza estetica?»

«Sì. È anzi la fonte di ogni vera percezione della bellezza. L’esperienza estetica comporta una separazione nell’anima, in un certo senso una scissione, il distacco temporaneo dell’astrale dall’eterico. È un’esperienza di natura interamente spirituale, che nasce dal contatto con gli elementi segreti contenuti nelle opere d’arte. L’esoterista Goethe, all’inizio del XIX secolo, era consapevole di questo elemento magico insito nell’arte: ecco perché sosteneva che non si dovrebbe mai parlare di un quadro o di una scultura se non avendoli davanti agli occhi. Se l’opera d’arte è assente, l’esperienza estetica non può avvenire, si può parlare soltanto della sua parte morta, ossia dell’immagine fisica, senza coglierne l’interazione con il piano eterico e quello astrale. È questa una delle ragioni per cui la storia dell’arte è così esanime e priva di senso: perché si occupa dell’aspetto fisico delle opere artistiche e non di quelli eterico e astrale, che sono vivi e ne costituiscono l’aspetto veramente magico.»

Maria, una ragazza molto carina che era seduta qualche fila dietro di noi, osservò: «Lei ha parlato più volte di schermi occulti, ma non sono certa di avere ben capito che cosa questo significhi in campo artistico. So che cosa sono gli schermi occulti, ma non vedo quale uso se ne possa fare in arte. Dopo tutto, un’opera d’arte la vediamo per quello che è. Non capisco come quello che vediamo possa costituire anche la maschera di qualcosa che non si vede.»

«Cercherò di chiarirti le idee mostrandoti un paio di esempi di grande scultura medievale.»

Il maestro prese il libro di Witkowski e l’aprì su due pagine che contenevano tre illustrazioni.

«Passatevele e osservatele mentre parlo.»

Passò il libro a una giovane donna seduta in prima fila.


«La xilografia a sinistra rappresenta una composizione scultorea della chiesa medievale di St-Pierre a Moissac, nel Sud della Francia. Vi si riconosce una peccatrice, nuda, aggredita da creature che sembrano essere rospi e da serpenti. Un demonio la tiene per un braccio. L’immagine di destra proviene dallo stesso luogo e rappresenta due peccatori con sulle spalle due demoni.

«Un osservatore distratto potrebbe scambiare queste immagini per allegorie di peccatori all’inferno o in un purgatorio, quasi esortazioni visive a non cadere nel peccato.

«Una cosa deve essere subito chiara: gli scultori non intendevano raffigurare, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la vita all’inferno o al purgatorio. Le persone che vedete sono esseri umani normali, vivi, sono comuni peccatori. La donna aggredita dai serpenti è dissoluta, ecco perché i rospi mostruosi si interessano tanto alle sue parti intime e ai suoi seni, e perché il demone che l’afferra tiene il serpente in una posa così inequivocabilmente allusiva.

«I due uomini con i demoni sulle spalle sono un’allegoria del peccato dell’avarizia: quello seduto, che tiene strette le borse con il denaro, è un avaro, che rifiuta l’elemosina al mendicante.

«Ma i due non sono all’inferno: entrambi sono ritratti in forma eterica e astrale. L’artista li denuda, ce li mostra come li vedrebbe chi possiede in alto grado il dono della chiaroveggenza ed è capace di percepire sui piani spirituali. I due uomini sono forme simboliche del corpo eterico e di quello astrale: un vero veggente riuscirebbe a vedere i rettili e i demoni odiosi che si sono impossessati di loro.

«La donna nuda non è all’inferno. È raffigurata come un essere vivo, benché quello scolpito non sia il suo corpo fisico. La sua anima, a causa della sua predisposizione a cadere in un certo tipo di peccato, è divorata continuamente da creature mostruose. Il suo corpo fisico può essere bello e attraente quanto si vuole, ma il suo corpo eterico – in conseguenza del peccato – è ottenebrato dai demoni che la divorano. Tuttavia l’immagine, lo ribadisco, non raffigura un peccatore all’inferno, bensì un corpo eterico malato qui, sulla Terra. È un corpo che ha un bisogno disperato di purificazione, di guarigione. Guardandolo, si capisce perché Paracelso chiamasse l’eterico “il corpo dei veleni”.

«La donna è nuda forse perché così il suo peccato, che è la lussuria, traspare con più evidenza. Ma la sua nudità, in così netto contrasto con le figure vestite degli uomini, ha anche un altro significato: indica che si tratta soltanto del suo corpo eterico, il corpo che gli artisti di Moissac avrebbero chiamato ens veneni, o vegetabilis. La donna ha le braccia alzate e con le mani si afferra i capelli: questo è il gesto dell’anima eterica. È lo stesso che compare nelle immagini cristiane dipinte o graffite sui muri delle catacombe a Roma, è l’atteggiamento chiamato “orans”, della preghiera, alla cui origine c’è in realtà il geroglifico egizio ka.

«Tutti questi indizi non lasciano dubbi sul fatto che la peccatrice sia una persona viva, e noi abbiamo il privilegio di vedere lo stato del suo corpo eterico. Ecco, dunque, Maria, un esempio di schermo occulto.

«Adesso osserva la seconda xilografia della scultura di Moissac. Un veggente capirebbe subito che il mendicante si avvicina all’avaro sul piano astrale, e che a dirigere la transazione sono i demoni, i quali, in un certo senso, aggirano l’ego degli uomini. Si tratta di una transazione demoniaca, non umana. I demoni stanno in spalla ai due uomini, a dimostrazione che se ne sono impossessati. Non dimenticare che possessione deriva da una parola latina, che significa letteralmente “star seduto su qualcosa”. Quando, recitando il Padre Nostro, preghiamo Dio di non indurci in tentazione, chiediamo di trovare dentro il nostro ego la forza di resistere alle tenebre, che i demoni calano costantemente sul nostro corpo astrale.

«Il mendicante e l’avaro, al contrario della donna dai facili costumi, sono vestiti. Questo in parte può dipendere dal fatto che lo scultore intendeva esprimere il rango sociale di ciascuno dei due: il primo è avvolto in panni laceri e ha una gamba nuda, mentre l’uomo seduto indossa abiti che ne testimoniano la ricchezza. Ma c’è anche un’altra ragione per cui le due figure sono vestite: gli indumenti indicano che sono rappresentate come se fossero a un livello successivo rispetto a quello eterico, ossia sul piano astrale, che a quell’epoca si chiamava animalis o ens astrale.

«Quegli abiti costituiscono di certo una forma di travestimento: nessuno dei due infatti ha le scarpe. In base alla simbologia arcana, questo significa che non sono sulla Terra materiale. L’elemento più “terreno” di questa immagine è la pesante borsa di denaro: è legata al collo dell’avaro, come una punizione, e pesa sulla sua anima, tirandola verso il basso. La sua funzione è la stessa del fagotto che il Matto dei tarocchi porta in spalla.

«I demoni che si sono “impossessati” dei due uomini sono esseri astrali: le ali di cui è dotato quello di sinistra indicano che può volare sul piano astrale. Le corna dell’altro, a forma di falce, ci ricordano il legame dei demoni con la Luna. Ma come la donna non sa che il suo corpo eterico è divorato dai mostri, così l’avaro ignora che il suo corpo astrale è oppresso dal denaro e dal demone che lo serra alla gola con le ginocchia. Non si tratta tanto di simbolismo, quanto di ciò che può esser percepito sul piano spirituale da chi ha occhi per vedere.»

Prese di nuovo il libro.

«In questo splendido volume di Witkowski c’è un’altra immagine che costituisce una sorta di omelia sulla natura dell’esoterismo e degli schermi occulti.


«A pagina 181…» sfogliò velocemente e poi porse di nuovo il libro aperto a un allievo seduto in prima fila perché guardasse la figura e quindi la passasse agli altri «troverete una xilografia molto interessante. È la riproduzione di una miniatura – conservata alla Bibliothèque Nationale Française – in cui è rappresentata la celebrazione di un battesimo. Alcuni studiosi affermano trattarsi di San Giovanni che battezza Maria Maddalena, ma la cosa in sé non ha grande importanza. Nei primi secoli il battesimo avveniva per immersione totale, ed è per questo che la donna è nuda dentro una grande tinozza. Le onde sul pavimento non sono acqua che trabocca dal “fonte battesimale”, come ci si potrebbe aspettare, ma indicano simbolicamente che il Battista è nel fiume Giordano. La donna, con le braccia alzate, compie esattamente lo stesso gesto eterico che abbiamo notato poco fa. Nella mano sinistra San Giovanni regge un libro – presumibilmente sta leggendo le formule rituali – mentre con la destra sfiora il capo chino della battezzanda. La scena, inutile dirlo, è iniziatica.

«Osservate il contrasto fra la pace e la compostezza della cerimonia e il tumulto che si è sollevato davanti al battistero. Sette uomini si azzuffano per sbirciare al suo interno attraverso fori e fessure: ma non è il battesimo che li interessa, bensì la donna nuda. Uno di loro è in un tale stato di eccitazione che sviene; un altro si strappa i capelli perché non riesce a spiare. Tutti sono travolti dalle loro emozioni astrali.

«Se la composta scena interna è iniziatica, il disordine di quella esterna è sicuramente la rappresentazione dell’ordinaria follia del mondo. Quegli uomini sono incapaci di capire la natura spirituale dell’evento. Non vedono altro che i seni scoperti della donna: è come se guardassero la forma nuda di Iside, ma non ne cogliessero il senso interiore.

«L’immagine ci offre un quadro davvero straordinario del rapporto che i misteri intrattengono con il mondo normale. In un certo senso si può dire che l’iniziazione non è affatto nascosta. È vero che la porta del battistero è chiusa, come è giusto che sia. Nonostante la confusione all’esterno, dentro prosegue l’intenso rituale, il quale è come se si svolgesse in uno spazio e in un tempo diversi da quelli in cui vivono gli uomini che stanno fuori. L’analogia con la verità dell’iniziazione è perfetta: l’iniziazione appartiene davvero a uno spazio e a un tempo differenti da quelli del mondo quotidiano, i cui occupanti non sono in grado di riconoscere non solo l’iniziazione per quello che è, ma neppure gli iniziati, anche quando li hanno proprio sotto gli occhi.

«Quei sette uomini sono incapaci di comprendere veramente quello che accade. Sono distratti dallo schermo occulto, ossia i seni e il corpo nudo della donna, che li risucchiano a livello astrale. Sono accecati dall’intensa passione, generata dal loro corpo astrale. Ognuno si autoacceca, probabilmente con uno dei sette peccati mortali che sgorgano da tale corpo. Se solo riuscissero a spostarsi su un altro livello, in una parte diversa di sé, più alta, le squame astrali cadrebbero dai loro occhi ed essi si renderebbero conto di assistere a un mistero, a un’iniziazione.

«Come questi uomini, anche i partecipanti alla Festa dei pazzi vedevano soltanto un somaro che, ragliando in modo sacrilego, veniva condotto in chiesa. Non scorgevano la saggezza nascosta dietro il velo dei simboli. Se soltanto quanti durante la Festa dei pazzi si comportavano come asini fossero riusciti a ritrarsi in se stessi per un solo istante e a ritrovare la pace interiore… se soltanto fossero stati capaci di trasferirsi in una parte diversa di sé, si sarebbero resi conto di assistere a un mistero profondo.»

Mark Hedsel, L'iniziato

11 dicembre 2014

Il doppio oscuro




L’esoterismo moderno insegna che in tutti gli uomini dimorano esseri spirituali indesiderati: chiamati con i nomi più diversi nel corso della storia, sono poi stati catalogati dalla Chiesa cristiana medievale sotto la denominazione generica di demoni. Nelle tradizioni esoteriche moderne questi demoni sono a volte definiti ombre o doppi.  La parola «doppio», volgarizzata in qualche modo nella versione tedesca di Doppelgänger, resta comunque un’eccellente definizione. Il doppio è una sorta di copia oscura, talmente simile all’essere umano che lo ospita, da essere con questo scambiato e considerato come un’entità separata.

Sotto altri aspetti, invece, il doppio è totalmente diverso dalla persona in cui dimora. Un essere umano sano trabocca di energia creativa, è capace di felicità, dimostra sollecitudine verso il prossimo e voglia di aiutare: sono esattamente le qualità che si propone di sviluppare chi intraprende la Via, in particolare nei confronti di quanti lo accompagnano nel suo percorso. Il doppio oscuro, invece, non possiede alcuna di queste grandi qualità umane: non ha né calore né gioia, semplicemente perché non è umano. Questo essere-ombra è in realtà il residuo di una corrente di sviluppo molto più antica, è un intruso nella vita umana: è quasi un parassita, che si intrufola di soppiatto nell’essere in cui prende dimora.

Il fatto è che l’ego quando è malato è già di per sé isolato e freddo – non mostra né calore  né interesse vivo per gli altri – e questo ne fa uno strumento particolarmente adatto per il doppio oscuro. Il doppio è molto intelligente, ma non ha calore umano, e come ogni altra cosa esistente nel cosmo cerca uno specchio in cui riflettersi.

I metodi e le tecniche elaborati all’interno dei circoli esoterici per combattere il doppio oscuro sono altamente evolute e nessun adepto si sente libero di discuterne apertamente. Noi non ci proponiamo di farlo, ma ci limitiamo a indicare l’esistenza del doppio e a definire almeno in parte il ruolo che esso svolge nella vita degli esseri umani.

Chi ha imboccato la via dello sviluppo, prima o poi dovrà affrontare il proprio doppio dentro di sé. Raramente l’incontro è piacevole, come si vedrà dal racconto di Mark Hedsel.

La prima volta che lessi il manoscritto di Mark fu proprio la questione del doppio che trovai più difficile da capire. Tuttavia ne percepivo l’importanza, perciò mi risolsi a chiedere a Mark di spiegare meglio la sua esperienza.

«Capisco la tua domanda» mi disse. «Neppure chi si è trovato faccia a faccia con il doppio impara a conoscerlo fino in fondo. La prima volta che mi sono imbattuto nella mia ombra è stato molto traumatico: è stato come guardarsi allo specchio e non vedervi la propria immagine, ma quella di un mostro oscuro che scimmiotta te e le tue movenze. Era una copia più brutta e degradata di me stesso. Parlava con una voce vagamente simile alla mia e tuttavia era freddo e distante, totalmente egocentrico e senza il minimo interesse per gli altri esseri umani. Sembrava che dentro di me ci fosse un’altra persona, pronta a parlare e a giudicare al posto mio. Ma forse la cosa più sorprendente era la totale negatività di questo essere, il suo odio quasi patologico per la gioia e il calore.

«A mano a mano che cresceva la mia comprensione della creatura, cominciavo a capire perché i testi esoterici definissero il doppio naturale e innaturale a un tempo. È naturale perché dentro di noi tutti abbiamo un doppio; è innaturale perché, più che di un ospite indesiderato, si tratta di una sanguisuga che drena energie. È naturale perché partecipa alla nostra vita; è innaturale perché non è minimamente interessato al nostro benessere spirituale e al nostro destino personale.

«Mi sembrava di avere al mio interno un vecchio pedante e rinsecchito, che aveva un’avversione indicibile per il mondo circostante e che tuttavia poteva impadronirsi della mia vita quasi a suo piacimento. La sua voce era arida e insieme piagnucolosa, ma mostrava un’intelligenza straordinaria: manipolava parole e concetti con molta più abilità di quanto avrei saputo fare io. Il vecchio, pignolo e morto, era molto abile e inventivo, ma non aveva la minima traccia di creatività.

«Curiosamente, è stato quando ho intravisto questa freddezza interiore che ho capito dov’è riposto il segreto della vita: in quella che posso soltanto chiamare “gioia creativa”. Ho pensato a William Blake, che aveva percepito il suo doppio – da lui chiamato Spettro – e aveva compreso che lo spirito interiore dell’uomo deve abbandonarsi all’espressione della gioia eterna. È qui che la Via dei Rosacroce – seguita da Blake – e la Via del Matto si intersecano: entrambe riconoscono nelle tenebre interiori il doppio e nella luce l’energia creativa.

«La visione del doppio, e la constatazione che sembrava non esserci mezzo di scrollarsi di dosso questo mostro, sono state un’esperienza terribile. Riflettendo in seguito su questa creatura, ho capito quanto fosse inappropriato chiamarla ombra, o anche doppio, perché l’essere che dimorava dentro di me era in realtà più consistente di un’ombra e troppo distante dall’umanità per essere un doppio umano. Sarebbe molto più giusto chiamarlo “il morto”.

«È uno stadio di grande sofferenza quello in cui, percorrendo la Via, ci si rende conto di essere sempre e ovunque accompagnati da un morto, un morto astuto, che non vede l’ora di usurpare il tuo essere.»

Mark rise. «Ma se non altro ho accennato all’antidoto, che è la gioia creativa… Il fatto è che il morto è essenziale. Vedi, David, prima di poter salire in cielo, il Matto deve liberarsi del morto. È il processo che gli esoteristi chiamano scissione. È la separazione della luce dalle tenebre: perché ci sia evoluzione occorre che le tenebre cedano il passo alla luce, ma prima che questo possa verificarsi, luce e tenebre devono essere separate. Soltanto allora potrà avvenire la scissione.»

La parola «scissione» ha un significato arcano molto simile a quello che ricopre nella scienza moderna: denota infatti la separazione in due parti di un organismo. Una parte è la spiritualità, che era in potenza nel corpo scisso: così liberata, essa può svilupparsi sul piano spirituale. L’altra parte, ossia ciò che resta dell’organismo originario, diventa scura, si solidifica e cala più vicino alla terra. La metafora classica che in alchimia denota la scissione è una candela che brucia. Essa si divide nella luce della fiamma, nel nero della cenere dello stoppino carbonizzato, e nel fumo. Senza scissione non c’è evoluzione. Nel linguaggio iniziatico, quando il buio dell’anima diventa ostacolo alla crescita spirituale, è tempo di espellerlo. Quest’espulsione, cui corrisponde la liberazione della spiritualità, è la scissione vera e propria. Da essa nasce una nuova vita che comporta una forma di morte: con la separazione gli elementi costitutivi vengono attratti verso i loro luoghi abituali: lo spirito verso i piani celesti e le scorie buie verso la terra e a volte verso i regni demoniaci.

Mark Hedsel, L'iniziato