24 dicembre 2014

I segreti dell'arte profana nelle chiese medievali




Il maestro era già entrato. Lo seguirono uno a uno tutti gli allievi del gruppo. Noi fummo tra i primi e andammo a sederci in terza fila: né troppo lontano, né troppo vicino. Sul tavolino accanto alla sedia del maestro c’era un libro. Il maestro doveva essersi accorto che lo sbirciavamo, allungando il collo per leggerne il titolo.

«Witkowski» disse, prendendo in mano il volume e tambureggiando con le dita sulla copertina. «Il viaggio illustrato di Witkowski attraverso l’arte pagana nelle chiese medievali.»

Non disse altro finché il resto del gruppo non si fu seduto. Quando si fece silenzio, egli indicò il libro con un gesto della mano.

«Il grande alchimista Fulcanelli – al quale ho accennato più volte – fu affascinato da questo libro, e già solo questo sarebbe un buon motivo per guardarne le immagini. È sicuramente un volume molto utile per chi si interessa di sapere arcano. Chiunque compia un viaggio fra le chiese e le cattedrali di Francia dovrebbe portarlo con sé. Per essere un libro che si occupa di monumenti cristiani, è una guida all’arte pagana davvero originale.»

Intanto che parlava, il maestro cominciò a sfogliare il vecchio volume, con il volto raggiante di piacere.

«Adoro queste illustrazioni. Semplici incisioni, ma così stimolanti. Alcune immagini sono la prova che l’arte cristiana è stata completamente travisata dai moderni. Qualcuno oggi potrebbe pensare che la Festa dei pazzi, con tutta la licenziosità e il caos che la accompagnavano, costituisse un’eccezione, un ritorno a un’antica festività romana, un semplice imbarazzo per la Chiesa, un’isola inspiegabile di celebrazioni pagane in mezzo a un continente tutto cristiano. Ma non è affatto così. Le immagini profane che Witkowski ha raccolto nelle chiese e cattedrali d’Europa dimostrano come quello spirito che animava la festa fosse vivissimo nel Medioevo. La Festa dell’asino sgorgava da una forza vitale possente – una gioia primigenia – che è stata quasi interamente stravolta nell’era moderna, e che tuttavia sopravvive ancora, almeno in parte, nell’arte.

«Gli antichi si accostavano all’arte in modo molto diverso dal nostro. Il loro approccio non era affatto intellettuale. Capivano, con una profondità spirituale per noi quasi incomprensibile, che la vera arte spalancava le porte del mondo spirituale. Questo lo sentono ancora oggi le persone con una vita spirituale profonda: si racconta che Picasso, nel suo studio, tenesse coperti con un telo alcuni dei grandi capolavori da lui acquistati, perché, diceva, erano troppo potenti. È questo il modo giusto di accostarsi all’arte. Le nostre pinacoteche e i nostri musei dovrebbero essere luoghi di meditazione e non luoghi di incontri chiassosi, perché l’arte vera è la sentinella del mondo superiore.»

Marilyn, seduta in prima fila, domandò: «Se l’arte, come lei afferma, riguarda le nostre emozioni più che l’intelletto, ciò significa che la capacità di capire l’arte va ricondotta alle nostre facoltà astrali?»

«Sì, è così. La domanda che vi dovete porre è: quale parte di voi entra in gioco quando osservate un’opera d’arte? Se guarderete soltanto con l’occhio fisico, non vedrete niente di prezioso. Forse riesco a spiegarmi meglio con la musica. Se ascoltate un capolavoro – per esempio il Triplo concerto di Beethoven – soltanto con l’orecchio, non sentirete quasi nulla. Dovete ascoltarlo con tutto il corpo. Il corpo deve restare perfettamente immobile, per farsi cassa di risonanza del corpo eterico e di quello astrale. Soltanto quando i tre corpi – fisico, eterico e astrale – si muovono all’unisono si comincia a godere della musica. La stessa regola vale per l’arte visiva. Ma quando si contempla un quadro è un po’ più difficile dimenticare il corpo di quando si ascolta la musica.»

Marilyn intervenne di nuovo: «Questo approccio meditativo è connesso con l’esperienza estetica?»

«Sì. È anzi la fonte di ogni vera percezione della bellezza. L’esperienza estetica comporta una separazione nell’anima, in un certo senso una scissione, il distacco temporaneo dell’astrale dall’eterico. È un’esperienza di natura interamente spirituale, che nasce dal contatto con gli elementi segreti contenuti nelle opere d’arte. L’esoterista Goethe, all’inizio del XIX secolo, era consapevole di questo elemento magico insito nell’arte: ecco perché sosteneva che non si dovrebbe mai parlare di un quadro o di una scultura se non avendoli davanti agli occhi. Se l’opera d’arte è assente, l’esperienza estetica non può avvenire, si può parlare soltanto della sua parte morta, ossia dell’immagine fisica, senza coglierne l’interazione con il piano eterico e quello astrale. È questa una delle ragioni per cui la storia dell’arte è così esanime e priva di senso: perché si occupa dell’aspetto fisico delle opere artistiche e non di quelli eterico e astrale, che sono vivi e ne costituiscono l’aspetto veramente magico.»

Maria, una ragazza molto carina che era seduta qualche fila dietro di noi, osservò: «Lei ha parlato più volte di schermi occulti, ma non sono certa di avere ben capito che cosa questo significhi in campo artistico. So che cosa sono gli schermi occulti, ma non vedo quale uso se ne possa fare in arte. Dopo tutto, un’opera d’arte la vediamo per quello che è. Non capisco come quello che vediamo possa costituire anche la maschera di qualcosa che non si vede.»

«Cercherò di chiarirti le idee mostrandoti un paio di esempi di grande scultura medievale.»

Il maestro prese il libro di Witkowski e l’aprì su due pagine che contenevano tre illustrazioni.

«Passatevele e osservatele mentre parlo.»

Passò il libro a una giovane donna seduta in prima fila.


«La xilografia a sinistra rappresenta una composizione scultorea della chiesa medievale di St-Pierre a Moissac, nel Sud della Francia. Vi si riconosce una peccatrice, nuda, aggredita da creature che sembrano essere rospi e da serpenti. Un demonio la tiene per un braccio. L’immagine di destra proviene dallo stesso luogo e rappresenta due peccatori con sulle spalle due demoni.

«Un osservatore distratto potrebbe scambiare queste immagini per allegorie di peccatori all’inferno o in un purgatorio, quasi esortazioni visive a non cadere nel peccato.

«Una cosa deve essere subito chiara: gli scultori non intendevano raffigurare, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la vita all’inferno o al purgatorio. Le persone che vedete sono esseri umani normali, vivi, sono comuni peccatori. La donna aggredita dai serpenti è dissoluta, ecco perché i rospi mostruosi si interessano tanto alle sue parti intime e ai suoi seni, e perché il demone che l’afferra tiene il serpente in una posa così inequivocabilmente allusiva.

«I due uomini con i demoni sulle spalle sono un’allegoria del peccato dell’avarizia: quello seduto, che tiene strette le borse con il denaro, è un avaro, che rifiuta l’elemosina al mendicante.

«Ma i due non sono all’inferno: entrambi sono ritratti in forma eterica e astrale. L’artista li denuda, ce li mostra come li vedrebbe chi possiede in alto grado il dono della chiaroveggenza ed è capace di percepire sui piani spirituali. I due uomini sono forme simboliche del corpo eterico e di quello astrale: un vero veggente riuscirebbe a vedere i rettili e i demoni odiosi che si sono impossessati di loro.

«La donna nuda non è all’inferno. È raffigurata come un essere vivo, benché quello scolpito non sia il suo corpo fisico. La sua anima, a causa della sua predisposizione a cadere in un certo tipo di peccato, è divorata continuamente da creature mostruose. Il suo corpo fisico può essere bello e attraente quanto si vuole, ma il suo corpo eterico – in conseguenza del peccato – è ottenebrato dai demoni che la divorano. Tuttavia l’immagine, lo ribadisco, non raffigura un peccatore all’inferno, bensì un corpo eterico malato qui, sulla Terra. È un corpo che ha un bisogno disperato di purificazione, di guarigione. Guardandolo, si capisce perché Paracelso chiamasse l’eterico “il corpo dei veleni”.

«La donna è nuda forse perché così il suo peccato, che è la lussuria, traspare con più evidenza. Ma la sua nudità, in così netto contrasto con le figure vestite degli uomini, ha anche un altro significato: indica che si tratta soltanto del suo corpo eterico, il corpo che gli artisti di Moissac avrebbero chiamato ens veneni, o vegetabilis. La donna ha le braccia alzate e con le mani si afferra i capelli: questo è il gesto dell’anima eterica. È lo stesso che compare nelle immagini cristiane dipinte o graffite sui muri delle catacombe a Roma, è l’atteggiamento chiamato “orans”, della preghiera, alla cui origine c’è in realtà il geroglifico egizio ka.

«Tutti questi indizi non lasciano dubbi sul fatto che la peccatrice sia una persona viva, e noi abbiamo il privilegio di vedere lo stato del suo corpo eterico. Ecco, dunque, Maria, un esempio di schermo occulto.

«Adesso osserva la seconda xilografia della scultura di Moissac. Un veggente capirebbe subito che il mendicante si avvicina all’avaro sul piano astrale, e che a dirigere la transazione sono i demoni, i quali, in un certo senso, aggirano l’ego degli uomini. Si tratta di una transazione demoniaca, non umana. I demoni stanno in spalla ai due uomini, a dimostrazione che se ne sono impossessati. Non dimenticare che possessione deriva da una parola latina, che significa letteralmente “star seduto su qualcosa”. Quando, recitando il Padre Nostro, preghiamo Dio di non indurci in tentazione, chiediamo di trovare dentro il nostro ego la forza di resistere alle tenebre, che i demoni calano costantemente sul nostro corpo astrale.

«Il mendicante e l’avaro, al contrario della donna dai facili costumi, sono vestiti. Questo in parte può dipendere dal fatto che lo scultore intendeva esprimere il rango sociale di ciascuno dei due: il primo è avvolto in panni laceri e ha una gamba nuda, mentre l’uomo seduto indossa abiti che ne testimoniano la ricchezza. Ma c’è anche un’altra ragione per cui le due figure sono vestite: gli indumenti indicano che sono rappresentate come se fossero a un livello successivo rispetto a quello eterico, ossia sul piano astrale, che a quell’epoca si chiamava animalis o ens astrale.

«Quegli abiti costituiscono di certo una forma di travestimento: nessuno dei due infatti ha le scarpe. In base alla simbologia arcana, questo significa che non sono sulla Terra materiale. L’elemento più “terreno” di questa immagine è la pesante borsa di denaro: è legata al collo dell’avaro, come una punizione, e pesa sulla sua anima, tirandola verso il basso. La sua funzione è la stessa del fagotto che il Matto dei tarocchi porta in spalla.

«I demoni che si sono “impossessati” dei due uomini sono esseri astrali: le ali di cui è dotato quello di sinistra indicano che può volare sul piano astrale. Le corna dell’altro, a forma di falce, ci ricordano il legame dei demoni con la Luna. Ma come la donna non sa che il suo corpo eterico è divorato dai mostri, così l’avaro ignora che il suo corpo astrale è oppresso dal denaro e dal demone che lo serra alla gola con le ginocchia. Non si tratta tanto di simbolismo, quanto di ciò che può esser percepito sul piano spirituale da chi ha occhi per vedere.»

Prese di nuovo il libro.

«In questo splendido volume di Witkowski c’è un’altra immagine che costituisce una sorta di omelia sulla natura dell’esoterismo e degli schermi occulti.


«A pagina 181…» sfogliò velocemente e poi porse di nuovo il libro aperto a un allievo seduto in prima fila perché guardasse la figura e quindi la passasse agli altri «troverete una xilografia molto interessante. È la riproduzione di una miniatura – conservata alla Bibliothèque Nationale Française – in cui è rappresentata la celebrazione di un battesimo. Alcuni studiosi affermano trattarsi di San Giovanni che battezza Maria Maddalena, ma la cosa in sé non ha grande importanza. Nei primi secoli il battesimo avveniva per immersione totale, ed è per questo che la donna è nuda dentro una grande tinozza. Le onde sul pavimento non sono acqua che trabocca dal “fonte battesimale”, come ci si potrebbe aspettare, ma indicano simbolicamente che il Battista è nel fiume Giordano. La donna, con le braccia alzate, compie esattamente lo stesso gesto eterico che abbiamo notato poco fa. Nella mano sinistra San Giovanni regge un libro – presumibilmente sta leggendo le formule rituali – mentre con la destra sfiora il capo chino della battezzanda. La scena, inutile dirlo, è iniziatica.

«Osservate il contrasto fra la pace e la compostezza della cerimonia e il tumulto che si è sollevato davanti al battistero. Sette uomini si azzuffano per sbirciare al suo interno attraverso fori e fessure: ma non è il battesimo che li interessa, bensì la donna nuda. Uno di loro è in un tale stato di eccitazione che sviene; un altro si strappa i capelli perché non riesce a spiare. Tutti sono travolti dalle loro emozioni astrali.

«Se la composta scena interna è iniziatica, il disordine di quella esterna è sicuramente la rappresentazione dell’ordinaria follia del mondo. Quegli uomini sono incapaci di capire la natura spirituale dell’evento. Non vedono altro che i seni scoperti della donna: è come se guardassero la forma nuda di Iside, ma non ne cogliessero il senso interiore.

«L’immagine ci offre un quadro davvero straordinario del rapporto che i misteri intrattengono con il mondo normale. In un certo senso si può dire che l’iniziazione non è affatto nascosta. È vero che la porta del battistero è chiusa, come è giusto che sia. Nonostante la confusione all’esterno, dentro prosegue l’intenso rituale, il quale è come se si svolgesse in uno spazio e in un tempo diversi da quelli in cui vivono gli uomini che stanno fuori. L’analogia con la verità dell’iniziazione è perfetta: l’iniziazione appartiene davvero a uno spazio e a un tempo differenti da quelli del mondo quotidiano, i cui occupanti non sono in grado di riconoscere non solo l’iniziazione per quello che è, ma neppure gli iniziati, anche quando li hanno proprio sotto gli occhi.

«Quei sette uomini sono incapaci di comprendere veramente quello che accade. Sono distratti dallo schermo occulto, ossia i seni e il corpo nudo della donna, che li risucchiano a livello astrale. Sono accecati dall’intensa passione, generata dal loro corpo astrale. Ognuno si autoacceca, probabilmente con uno dei sette peccati mortali che sgorgano da tale corpo. Se solo riuscissero a spostarsi su un altro livello, in una parte diversa di sé, più alta, le squame astrali cadrebbero dai loro occhi ed essi si renderebbero conto di assistere a un mistero, a un’iniziazione.

«Come questi uomini, anche i partecipanti alla Festa dei pazzi vedevano soltanto un somaro che, ragliando in modo sacrilego, veniva condotto in chiesa. Non scorgevano la saggezza nascosta dietro il velo dei simboli. Se soltanto quanti durante la Festa dei pazzi si comportavano come asini fossero riusciti a ritrarsi in se stessi per un solo istante e a ritrovare la pace interiore… se soltanto fossero stati capaci di trasferirsi in una parte diversa di sé, si sarebbero resi conto di assistere a un mistero profondo.»

Mark Hedsel, L'iniziato

19 dicembre 2014

Il significato arcano della Festa dell'asino




«Nel suo libro sul segreto delle cattedrali, Fulcanelli osserva che l’asino della Festa dei pazzi aveva un tempo percorso le vie di Gerusalemme. Dice che aveva calpestato quelle strade con il suo sabot. So che sabot significa sia zoccolo dell’asino sia calzatura di legno, ma mi chiedo se la parola non abbia qualche significato arcano che faccia lume sulla Festa dei pazzi.»

Il maestro annuì. «Sì, sabot è una parola molto interessante. Ma per comprenderne il significato riposto occorre conoscere anche i segreti nascosti in quella replica pagana dell’entrata dell’asino a Gerusalemme che è la Festa dei pazzi, e il significato arcano dello stesso asino. In questa celebrazione anarchica, chiamata a volte anche Festa dell’asino, l’animale veniva sospinto oltre il portale della chiesa o della cattedrale, dentro la navata, in una oscena imitazione dell’ingresso a Gerusalemme (la navata che i pazzi in maschera percorrono è imparentata con la parola nave, associazione che non sfuggì all’autore della Narranschiff, La nave dei folli). Nelle preghiere blasfeme che seguivano, i presenti anziché dire “Amen”, ragliavano. Ciò potrebbe sembrare un sacrilegio, anche nel contesto della Festa dei pazzi in cui pure il dileggio e la licenziosità erano all’ordine del giorno. Ma noi dobbiamo porci un’altra domanda: quel sacrilegio aveva un significato arcano?

«In ebraico l’asino è hamor, e athon l’asina. Nella Bibbia, quando Zaccaria profetizza che il Signore arriverà in groppa a un asino – profezia che si compirà con l’entrata di Gesù a Gerusalemme – egli usa la parola athon. L’ingresso di Gesù in groppa a un asino viene di solito interpretato come un segno di umiltà, della riluttanza di Cristo a presentarsi come re. Ma l’episodio può essere visto anche diversamente. Poiché in Palestina era proibito andare a cavallo (un divieto infranto, a quanto pare, da Salomone), l’asino godeva di una considerazione diversa da quella attuale: non era affatto una creatura degradante, dal momento che se ne servivano anche i re e i ricchi (sia uomini sia donne), anzi, il termine “asina” nella forma plurale athona era spesso usato per indicare i potenti e i danarosi. È facile capire perché gli alchimisti (molti dei quali conoscevano l’ebraico, indispensabile per praticare la loro arte) si siano così entusiasmati alla storia dell’asino: nella loro Lingua Verde athona assomigliava troppo ad atanor, per non risvegliare il loro interesse. L’atanor era un forno ad alimentazione continua che gli alchimisti usavano per mantenere costante la temperatura: non sorprende quindi di vedere, in opere di alchimia, immagini alchemiche di Saturno o di “re” solari (che simboleggiano i gradi iniziatici) situate sopra i forni.

«Gli studiosi sono sempre stati in disaccordo sull’etimologia di “Gerusalemme”, ma nella cabala, la legge esoterica degli ebrei, essa significa “fondamento di pace”. Questa interpretazione ricorda l’importanza che veniva attribuita al tempio di Salomone, il quale si ritiene sorgesse in origine in questa città. L’asino, che durante il Festum Fatuorum oltrepassava con il suo cavaliere la soglia della chiesa o della cattedrale, entrava in un certo senso a Gerusalemme, ossia nella pace. Ma quest’asino, che porta, per così dire, in groppa un’imitazione di Cristo, ha gli zoccoli, che in francese si chiamano sabots. Fulcanelli ha perfettamente ragione nel collegare sabot sia con Saba sia con Caba. Torneremo sulla prima parola tra un momento, per ora osserviamo che Caba rinvia al mistero della Cabala, la tradizione esoterica degli ebrei.

«La terra di Saba è in realtà la terra dei sabei. Nell’antica Persia i sabei erano famosi maghi-astrologi, così potenti, che i maghi medievali usavano il loro nome come parola magica: e infatti “sabei” compare spesso sui sigilli e negli incantesimi. 

L’idea del “potere magico” del nome “sabei” è filtrata anche nella mitologia medievale, tant’è vero che nella Legenda aurea, la regina di Saba, grazie al suo potere magico di chiaroveggenza, riconosce in una tavola di legno, gettata come passerella su un fiume, la Croce di Cristo. Ma la cosa che qui ci interessa è che i sabei erano maghi famosi, e che la parola francese Saba con cui vengono indicati è molto vicina a sabots, “zoccoli”.

«Ma c’è dell’altro: Saba è molto simile a sabba, termine con cui si indicavano i convegni delle streghe: ancora oggi in francese faire un sabbat significa “fare un fracasso infernale”. Espressioni come queste ci avvicinano all’esuberanza sfrenata che doveva caratterizzare la Festa dei pazzi.

«Siamo così arrivati a uno dei grandi segreti del Medioevo. La parodia della Chiesa – espressa nella pietra attraverso particolari come l’asino in abito talare, o in modo più effimero nelle rappresentazioni dell’annuale Festa dei pazzi – andava ben al di là della farsa. Alcuni iniziati, nel silenzio delle loro scuole, avevano da tempo capito che la Chiesa, abbandonato il suo fine esoterico, era diventata un organismo burocratico simile all’Impero romano. Furono questi iniziati a inventare, o comunque a ispirare, simboli segreti come quello dell’asino per attaccare una Chiesa troppo compiacente. In questo modo il frastuono del sabba veniva portato oltre i sacri portali della Gerusalemme simbolica, che avrebbe dovuto essere un luogo di pace, e si comunicava alla Chiesa che il suo andazzo non era passato inosservato. La domanda che questa festa anarchica poneva era: chi è il Matto? L’asino che porta Cristo oppure la Chiesa che ha cessato di portare Cristo?

«Tra i documenti iconografici più interessanti del periodo in cui la Festa dei pazzi era così popolare si trovano le filigrane riproducenti la figura dell’asino: in mezzo alle grandi orecchie dell’animale è inserita una stella a cinque punte. Harold Bayley, studioso della materia, sostiene che questi segni appartengono alla lingua occulta di gruppi esoterici perseguitati dalla Chiesa: essi sono, dice, un’immagine dell’asino glorificato, iniziato, ossia dell’asino che ha riportato Mosè in Egitto e Cristo a Gerusalemme. 

«E dunque anche le filigrane indicano l’esistenza di una via iniziatica asinina: è la Via del Matto, e a guidarla è una stella.»

Mark Hedsel, L'iniziato

11 dicembre 2014

Il doppio oscuro




L’esoterismo moderno insegna che in tutti gli uomini dimorano esseri spirituali indesiderati: chiamati con i nomi più diversi nel corso della storia, sono poi stati catalogati dalla Chiesa cristiana medievale sotto la denominazione generica di demoni. Nelle tradizioni esoteriche moderne questi demoni sono a volte definiti ombre o doppi.  La parola «doppio», volgarizzata in qualche modo nella versione tedesca di Doppelgänger, resta comunque un’eccellente definizione. Il doppio è una sorta di copia oscura, talmente simile all’essere umano che lo ospita, da essere con questo scambiato e considerato come un’entità separata.

Sotto altri aspetti, invece, il doppio è totalmente diverso dalla persona in cui dimora. Un essere umano sano trabocca di energia creativa, è capace di felicità, dimostra sollecitudine verso il prossimo e voglia di aiutare: sono esattamente le qualità che si propone di sviluppare chi intraprende la Via, in particolare nei confronti di quanti lo accompagnano nel suo percorso. Il doppio oscuro, invece, non possiede alcuna di queste grandi qualità umane: non ha né calore né gioia, semplicemente perché non è umano. Questo essere-ombra è in realtà il residuo di una corrente di sviluppo molto più antica, è un intruso nella vita umana: è quasi un parassita, che si intrufola di soppiatto nell’essere in cui prende dimora.

Il fatto è che l’ego quando è malato è già di per sé isolato e freddo – non mostra né calore  né interesse vivo per gli altri – e questo ne fa uno strumento particolarmente adatto per il doppio oscuro. Il doppio è molto intelligente, ma non ha calore umano, e come ogni altra cosa esistente nel cosmo cerca uno specchio in cui riflettersi.

I metodi e le tecniche elaborati all’interno dei circoli esoterici per combattere il doppio oscuro sono altamente evolute e nessun adepto si sente libero di discuterne apertamente. Noi non ci proponiamo di farlo, ma ci limitiamo a indicare l’esistenza del doppio e a definire almeno in parte il ruolo che esso svolge nella vita degli esseri umani.

Chi ha imboccato la via dello sviluppo, prima o poi dovrà affrontare il proprio doppio dentro di sé. Raramente l’incontro è piacevole, come si vedrà dal racconto di Mark Hedsel.

La prima volta che lessi il manoscritto di Mark fu proprio la questione del doppio che trovai più difficile da capire. Tuttavia ne percepivo l’importanza, perciò mi risolsi a chiedere a Mark di spiegare meglio la sua esperienza.

«Capisco la tua domanda» mi disse. «Neppure chi si è trovato faccia a faccia con il doppio impara a conoscerlo fino in fondo. La prima volta che mi sono imbattuto nella mia ombra è stato molto traumatico: è stato come guardarsi allo specchio e non vedervi la propria immagine, ma quella di un mostro oscuro che scimmiotta te e le tue movenze. Era una copia più brutta e degradata di me stesso. Parlava con una voce vagamente simile alla mia e tuttavia era freddo e distante, totalmente egocentrico e senza il minimo interesse per gli altri esseri umani. Sembrava che dentro di me ci fosse un’altra persona, pronta a parlare e a giudicare al posto mio. Ma forse la cosa più sorprendente era la totale negatività di questo essere, il suo odio quasi patologico per la gioia e il calore.

«A mano a mano che cresceva la mia comprensione della creatura, cominciavo a capire perché i testi esoterici definissero il doppio naturale e innaturale a un tempo. È naturale perché dentro di noi tutti abbiamo un doppio; è innaturale perché, più che di un ospite indesiderato, si tratta di una sanguisuga che drena energie. È naturale perché partecipa alla nostra vita; è innaturale perché non è minimamente interessato al nostro benessere spirituale e al nostro destino personale.

«Mi sembrava di avere al mio interno un vecchio pedante e rinsecchito, che aveva un’avversione indicibile per il mondo circostante e che tuttavia poteva impadronirsi della mia vita quasi a suo piacimento. La sua voce era arida e insieme piagnucolosa, ma mostrava un’intelligenza straordinaria: manipolava parole e concetti con molta più abilità di quanto avrei saputo fare io. Il vecchio, pignolo e morto, era molto abile e inventivo, ma non aveva la minima traccia di creatività.

«Curiosamente, è stato quando ho intravisto questa freddezza interiore che ho capito dov’è riposto il segreto della vita: in quella che posso soltanto chiamare “gioia creativa”. Ho pensato a William Blake, che aveva percepito il suo doppio – da lui chiamato Spettro – e aveva compreso che lo spirito interiore dell’uomo deve abbandonarsi all’espressione della gioia eterna. È qui che la Via dei Rosacroce – seguita da Blake – e la Via del Matto si intersecano: entrambe riconoscono nelle tenebre interiori il doppio e nella luce l’energia creativa.

«La visione del doppio, e la constatazione che sembrava non esserci mezzo di scrollarsi di dosso questo mostro, sono state un’esperienza terribile. Riflettendo in seguito su questa creatura, ho capito quanto fosse inappropriato chiamarla ombra, o anche doppio, perché l’essere che dimorava dentro di me era in realtà più consistente di un’ombra e troppo distante dall’umanità per essere un doppio umano. Sarebbe molto più giusto chiamarlo “il morto”.

«È uno stadio di grande sofferenza quello in cui, percorrendo la Via, ci si rende conto di essere sempre e ovunque accompagnati da un morto, un morto astuto, che non vede l’ora di usurpare il tuo essere.»

Mark rise. «Ma se non altro ho accennato all’antidoto, che è la gioia creativa… Il fatto è che il morto è essenziale. Vedi, David, prima di poter salire in cielo, il Matto deve liberarsi del morto. È il processo che gli esoteristi chiamano scissione. È la separazione della luce dalle tenebre: perché ci sia evoluzione occorre che le tenebre cedano il passo alla luce, ma prima che questo possa verificarsi, luce e tenebre devono essere separate. Soltanto allora potrà avvenire la scissione.»

La parola «scissione» ha un significato arcano molto simile a quello che ricopre nella scienza moderna: denota infatti la separazione in due parti di un organismo. Una parte è la spiritualità, che era in potenza nel corpo scisso: così liberata, essa può svilupparsi sul piano spirituale. L’altra parte, ossia ciò che resta dell’organismo originario, diventa scura, si solidifica e cala più vicino alla terra. La metafora classica che in alchimia denota la scissione è una candela che brucia. Essa si divide nella luce della fiamma, nel nero della cenere dello stoppino carbonizzato, e nel fumo. Senza scissione non c’è evoluzione. Nel linguaggio iniziatico, quando il buio dell’anima diventa ostacolo alla crescita spirituale, è tempo di espellerlo. Quest’espulsione, cui corrisponde la liberazione della spiritualità, è la scissione vera e propria. Da essa nasce una nuova vita che comporta una forma di morte: con la separazione gli elementi costitutivi vengono attratti verso i loro luoghi abituali: lo spirito verso i piani celesti e le scorie buie verso la terra e a volte verso i regni demoniaci.

Mark Hedsel, L'iniziato

7 dicembre 2014

Il vero significato della magia




«La magia esiste»: fu questa una delle prime cose che Mark Hedsel mi disse quando cominciammo a lavorare al libro. «La magia esiste» ripeté, «ma è stata fraintesa.»

Lo guardai con aria interrogativa, nella speranza che si soffermasse su un tema così allettante.

«Molti pensano che la magia consista nel capovolgere le leggi di natura» proseguì. «E invece la vera magia non capovolge un bel niente. La magia è semplicemente il risultato che consegue quando l’attività creativa del mondo spirituale viene incanalata nel mondo materiale. I maghi sono coloro che conoscono le regole per “invitare” questo intervento spirituale. La magia ha molto più a vedere con la conoscenza che con il potere: soltanto chi pratica la magia nera si preoccupa del potere.»

Sorrise con ironia. «Ma non credere che tutti quelli che si dicono maghi abbiano il potere di provocare l’intervento spirituale.»

«Se la magia, come dici tu, consiste nell’incanalare l’attività del mondo spirituale» osservai, «allora anche un giardiniere che fa crescere un fiore è un mago?»

«Ma certo. Come ha osservato un cabalista moderno, ogni volta che prepariamo come si deve una tazza di tè, invochiamo con successo i quattro elementi. Fai attenzione, però: a te sembra “naturale” che una pianta sbocci e dai per scontato che la fioritura segua le leggi della natura. È un’ipotesi molto ragionevole, ma non tiene conto di un fatto: noi non sappiamo cosa siano quelle leggi. In una pianta che cresce e fiorisce noi vediamo soltanto qualcosa che si sviluppa e si dispiega sul piano materiale. E invece essa è la manifestazione di qualcosa che avviene al di là della soglia dei nostri sensi, non credi?

«La scienza non ci dice quale sia la forza che spinge un seme nella terra e poi lo fa affiorare alla superficie, germogliare e fiorire con tanta colorata grazia. Quella grazia, quelle sfumature intense vengono forse dalla nera terra? La verità è che non sappiamo che cosa sia un fiore. La scienza ci ha sviato: pensiamo di aver capito, e invece ci siamo limitati a descrivere un processo di germinazione, radicazione, crescita e fioritura. Forse arriviamo a descrivere il fenomeno con una discreta precisione, ma non di certo a capirlo. Ci lasciamo troppo facilmente ingannare dalle manifestazioni esteriori, dimenticando il potere dell’invisibile. Se riuscissimo davvero a comprendere che cos’è un fiore, capiremmo anche l’operato dell’eterico e godremmo della visione spirituale che segna il primo passo sulla strada della vera iniziazione.

«Prendi, per esempio, la fase che chiamiamo “fioritura”. Normalmente pensiamo che il fiore costituisca lo stadio finale nella vita di una pianta, ma ciò non è del tutto esatto. Esaminando la vita della pianta alla luce del pensiero esoterico, si colgono ulteriori sviluppi. L’ape può per certi versi essere considerata la continuazione del fiore, e allora il nettare appare come una fase superiore della pianta: non è certo per caso, osserva Goethe, che la farfalla in volo ricorda i petali di certi fiori. Guardando il fiore e la farfalla con immaginazione, si vedrà in quest’ultima uno stadio più alto di sviluppo, o se preferisci, di evoluzione della pianta. E anche il profumo del fiore (cosa forse più immediata da percepire) rappresenta uno stadio superiore della vita vegetale, un livello di sviluppo spirituale che va oltre il fiore… In questo senso il fiore, pur essendo abbarbicato alla terra, si estende in uno spazio molto più ampio di quello che occupa nel giardino.

«Noi moderni, con le nostre parole e i nostri atteggiamenti, abbiamo ucciso la capacità di cogliere l’intervento dello spirito, che potremmo chiamare magico. Anche se siamo pronti a dire di non sapere che cosa sia veramente la magia, non siamo però disposti ad ammettere di non sapere che cosa sia la natura. Certo, possiamo descriverne le forme esteriori, ma è soltanto quando ne percepiamo le forze interiori che la natura può essere compresa.»

Mark Hedsel, L'iniziato

6 dicembre 2014

Il silenzio iniziatico




La necessità di tacere sulle verità esoteriche è sempre stata un tema importante per le scuole ermetiche e per le forme d’arte che esse hanno ispirato e incoraggiato. Intorno al 1520 il pittore fiammingo Quentin Metsys dipinse un quadro davvero notevole, conosciuto oggi, senza alcuna vera giustificazione, con il titolo Allegoria della follia. Vi è raffigurato un uomo dall’aria strana, che ha sul cappello, quasi ne fosse il prolungamento, una testa di gallo: indossa letteralmente il cockscomb, la «cresta del gallo» che è il simbolo tradizionale del Matto.

Ai lati del gallo spuntano due grandi piume. Con il braccio sinistro l’uomo regge un lungo bastone, che termina in una sorta di omuncolo. La creaturina ha il sedere scoperto, la testa voltata quasi frontalmente rispetto all’osservatore e una collana di fronde intorno al collo. Non occorre un’analisi dettagliata del dipinto per capire che, lungi dall’essere un’«allegoria della follia», esso rappresenta il tema arcano del silenzio. In altre parole, con quest’opera il pittore si rivolge agli iniziati, come confermano diversi dettagli che risulterebbero inspiegabili al di fuori del simbolismo iniziatico.

L’uomo, con quel suo grande naso aquilino e quel suo ghigno malizioso, può anche sembrare matto, ma il fatto è che egli sa qualcosa di cui non deve parlare… Lo ribadiscono le parole vergate in nero accanto alle sue labbra – sulle quali egli preme l’indice della mano destra – : sono due parole fiamminghe, mondeken toe, e significano: «tieni la bocca chiusa». Che cosa sa il Matto per meritarsi questo ordine di chiara origine misterica?

Anche la figuretta in cima al bastone ha un che di iniziatico. Verso l’estremità superiore l’asta di legno diventa plastica, gommosa: si direbbe che l’omuncolo lotti per nascere. L’idea stessa della nascita vergine di un piccolo uomo è già probabilmente un’arguzia, un gioco intorno alla parola latina virga, la verga-vergine che qui partorisce l’omuncolo. Forse la collana fronzuta che gli cinge il collo allude al pupazzo di paglia, evocando la funzione della creatura: è un povero pupazzo nato dalla Virgo (Vergine) stellare, che in mitologia è la dea vergine delle messi.

Sulla fronte, ben centrata in mezzo agli occhi, l’uomo dipinto da Metsys ha una grossa protuberanza: non potrebbe essere un riferimento al terzo occhio che sta per spuntare? La nascita di questo omuncolo, che fuoriesce dalla virga, non è per caso connessa con l’altro omino che, secondo la tradizione ermetica, dimora nella pupilla dell’occhio? Che sia l’omino da cui sboccerà l’iniziato dotato di una visione superiore? A tutte queste domande troveremo forse una risposta una volta finito di leggere quello che Mark Hedsel ha da dire sui temi iniziatici quali la piuma, la cresta del gallo, l’Ishon (l’«omino») e il bastone trasmutatore, ossia la virga. Fino a quel momento limitiamoci a considerare il dipinto poco più che un ammonimento rivolto al Matto perché tenga la bocca chiusa e badi a quello che dice, un ammonimento che rinvia sempre al mistero del Logos.

Mark Hedsel, L'iniziato

3 dicembre 2014

La natura dell'insegnamento iniziatico




Ogni scuola pratica discipline per l’iniziazione di natura e tendenza diverse, ma tradizionalmente la differenza sostanziale è fra l’insegnamento attraverso l’uso di simboli e immagini e quello basato sulla parola orale. Nei primitivi testi egizi di tradizione ermetica, tramandatici per lo più in lingua greca, i due metodi erano denominati rispettivamente epoptico e mystes. Alcune scuole li usavano entrambi. Per esempio nel culto eleusino di Demetra, molto diffuso nell’antica Grecia, i mystes venivano iniziati ai misteri minori e gli epoptes a quelli maggiori. Ma anche in sistemi combinati in questo modo i due metodi erano considerati così diversi che fra un’iniziazione e l’altra dovevano trascorrere almeno cinque anni.

Il metodo epoptico insegnava attraverso i simboli e le immagini, mentre il mystes di solito era verbale e prevedeva la figura di un maestro che dava istruzioni, a volte in forma di dialogo. Da queste due vie principali si diramavano diversi sentieri che correvano in direzioni differenti, ma aventi tutti come fine il perfezionamento dell’uomo: attraverso vari gradi ascendenti l’uomo «naturale» veniva condotto fino allo stadio di un uomo «spirituale».

Un documento dà un’idea della forza dell’antico metodo epoptico: è il misterioso Libro di Dzyan, al quale sosteneva di essersi ispirata Madame Blavatsky, l’esoterista del secolo scorso, per il suo capolavoro sulla scienza occulta The Secret Doctrine. Ma questo antico libro di immagini, questo libro senza parole, al quale fa riferimento Madame Blavatsky è ritenuto ben più di una semplice raccolta di simboli. L’esoterista G.S. Arundale, che sulla conoscenza di questo testo ha costruito un’intera disciplina meditativa, scrive che il libro era dotato di un tale «magnetismo» che chiunque ne contemplasse le immagini ne ricavava intuizioni di grande profondità.

Anche oggi, seguendo una via, si può raggiungere un analogo rapporto epoptico meditando su quei simboli antichi, e questa era sicuramente una delle pratiche di meditazione seguite da Mark Hedsel. Alcuni simboli sono dotati della capacità di «parlare» una lingua che non è assolutamente paragonabile alle forme di linguaggio scritte e parlate, né in queste può essere tradotta. I simboli possono aggirare il meccanismo pensante del cervello (abituato ad avere a che fare con le parole) e agire direttamente sull’anima. Ed è precisamente così che opera il metodo epoptico di iniziazione.

Nella maggior parte delle scuole arcane moderne prevale la tradizione orale del mystes. Da quando, cinque secoli fa, fu introdotta la stampa in Europa si è sviluppata una fiducia quasi ipnotica nel potere della parola, mentre è scomparsa quasi interamente l’antica capacità di leggere il contenuto interiore delle figure e dei simboli in un senso che non sia puramente interpretativo e analitico. Questa degenerazione di una facoltà naturale dell’anima ha influenzato le scuole occulte non meno che il pensiero e la vita quotidiani. Ci sono state invero alcune scuole che proprio per questo hanno insistito sulla necessità di sviluppare la sensibilità alla forza dei simboli e l’antica via epoptica attraverso quella che potremmo chiamare «visione meditativa». Il metodo consiste in un addestramento alla visione, basato su una verità dimostrabile: nell’uomo esiste una facoltà – attualmente sepolta nel profondo – in grado di sentire le parole della natura.

Che cosa distingue la Via del Matto dalla normalità della vita, dai comportamenti consueti? Soltanto il suo impegno a sondare il sapere occulto e la sua «visione meditativa». È tutto qui il grande segreto, forse l’unico, di questa strada, perché quella del Matto è essenzialmente la via dell’esperienza, con cui si entra nel regno della materia, per contemplarla nel profondo e potergli strappare i suoi segreti.

Mark Hedsel, L’iniziato

1 dicembre 2014

L'Asino d'oro




Nelle parabole sorte intorno ai misteri cristiani l’asino era stato redento perché aveva portato Cristo in trionfo per le strade di Gerusalemme: il segno di questa avvenuta redenzione era la nera croce che Gesù aveva lasciato impressa sulle spalle dell’animale. Il carattere esoterico del racconto è chiarissimo: il nostro corpo fisico, composto dai quattro elementi, è anche la quadruplice croce che dobbiamo portare.

Anche nella letteratura esoterica pagana l’asino è un simbolo misterico: è la creatura da cui può nascere l’iniziato ai sommi misteri. Nel più famoso racconto iniziatico del mondo antico il simbolismo dell’asino assume forme sofisticate e drammatiche: nell’Asino d’oro di Apuleio, il protagonista, Lucio, viene trasformato in asino perché si diletta di magia. Veramente quando aveva chiesto gli unguenti alla maga Pamfila Lucio non aveva alcuna intenzione di diventare un asino, anzi, voleva volare. Ma quando si ritrova, per la sua ignoranza della magia, chiuso in quella forma asinina, cambia subito idea e il suo desiderio più grande diventa quello di ritornare a essere uomo.

Dopo avere attraversato in veste di asino molte peripezie, spaventose e degradanti, Lucio si rende conto che soltanto il mondo spirituale può aiutarlo. Nelle ultime pagine del libro, mentre è ancora prigioniero del suo corpo d’asino, egli si sveglia «nel più misterioso dei momenti», quando la Luna è alta in cielo. Rivolge a Iside, la divinità lunare, la preghiera di liberarlo dalla sua forma bestiale, invocandola con tutti i suoi nomi segreti. Viene ascoltato. La dea gli appare in sogno o forse durante una visione. In mezzo alla fronte ha una Luna che come uno specchio promana la sua stessa luce. Soltanto il manto di Iside è completamente scuro e oscurante, ma sulla tunica si intravedono le stelle e la Luna piena. Iside ha con sé un sistro magico, come la dea egizia e come i sacerdoti iniziatici. Comunica a Lucio di essere venuta a soccorrerlo. L’asino si sveglia e scopre di essere in mezzo a una processione iniziatica, che, sotto certi aspetti, assomiglia ai cortei medievali della Festa dei Pazzi, con un’unica differenza: in Apuleio la processione è in onore dei misteri di Iside e non di quelli cristiani.

Lucio sapeva fin dal principio delle sue tribolazioni che se fosse riuscito a mangiare una rosa sarebbe tornato alla condizione umana. Ebbene, un sacerdote iniziato, istruito dalla dea, si stacca dal corteo e porge all’asino un mazzo di rose. L’asino d’oro, arricchito dalla sapienza e dal dolore che la sua servitù di bestia gli ha procurato, mangia le rose e come per miracolo si trasforma in un uomo più elevato.

Tale è lo stupore per il mistero della metamorfosi tanto agognata che Lucio resta paralizzato e non dice nulla. Non conosce parole capaci di esprimere la sua gioia e neppure per ringraziare la dea della sua generosità. Conformemente all’antica saggezza misterica, si ha qui l’affermazione che le parole servono soltanto nel mondo ordinario e valgono ben poco nei misteri supremi dello spirito.

Mark Hedsel, L'iniziato